Horror

FRAGILE

Titolo OriginaleFragile
NazioneSpagna
Anno Produzione2005
Genere
Durata100'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Amy, la nuova infermiera di un vecchio ospedale si scontra con alcuni strani avvenimenti: le ossa di alcuni dei bimbi ricoverati si spezzano senza motivi apparenti…

RECENSIONI

Se le precedenti prove di Balguerò, con tutti i loro difetti, partivano sempre da idee abbastanza originali FRAGILE smentisce anche questo dato, risultando il figlio scemo di un repertorio vecchio come il cucco e che ha avuto ben altre applicazioni di recente (il KINGDOM vontrieriano in primis). La storia del nosocomio isolato, delle maledizioni, del piano superiore svuotato (cosa mai accadde in passato perché ciò avvenisse? Il dubbio ci tormenta…) e dal quale provengono sinistri rumori, delle presenze spiritiche, di una pioggia che non smette mai, degli omicidi a catena è la solita zuppa a cui il regista si dimostra incapace di aggiungere motivi di interesse di qualsivoglia foggia. Il lieto fine poi (una novità – si fa per dire -: né NAMELESS, né DARKNESS lo avevano) arriva nel peggiore dei modi e chiude il film - che spaventa solo per la sua prevedibilità - con una sana, liberatoria risata.
Fischi in sala, sacrosanti.

Nome di punta della cinematografia spagnola di genere (si parla di horror) Jaume Balaguerò continua la sua parabola discendente. Con "Nameless" ha illuso di poter ancora spaventare e si è distinto per la vena cattiva, ma il film non regge alla seconda visione; con "Darkness", oltre ad avere ottenuto un rilevante successo internazionale, ha dimostrato come la capacità di creare un'atmosfera malsana non sia sempre sufficiente per sostenere un intero lungometraggio. Con il nuovo "Fragile" conferma come i suoi più grandi alleati siano il Dolby-Surround e gli stacchi di montaggio. Bisogna riconoscergli il merito di riuscire a condurre una storia di ordinari fantasmi con un certo polso, ma l'estetica della sua visione scimmiotta (per non dire copia) "The Ring" di Gore Verbinski. La sceneggiatura (dello stesso Balaguerò con Jordi Galceran) pone basi banali ma solide e procede con una certa grezza efficacia nell'aggiungere dettagli e capovolgimenti, ma finisce per incartarsi e si risolve perdendo coerenza con le premesse (tanti i buchi logici che emergono a posteriori). Sempre più internazionale la produzione, che assolda la star televisiva Calista Flockhart, ambienta la vicenda in Inghilterra e gira direttamente in inglese. Tutto molto strategico per la successiva distribuzione, ma i brividi stanno altrove.

È il secondo capitolo di una trilogia franco-spagnola di copioni: l’anno prima era uscito Saint'Ange di Pascal Laugier, che rielaborava Changeling e le ghost-stories giapponesi inventandosi un orfanotrofio dove, nel 1958 (qui nel 1959!), era successo qualcosa ai bambini (che tornano incazzati). Bayona, due anni dopo quest’opera di Balagueró, proporrà The Orphanage, sorta di copia-carbone con varianti del film di Laugier. Che qui si tratti di un ospedale pediatrico invece che di un orfanotrofio non cambia la sostanza: in entrambi gli edifici c’è un luogo segreto dove il passato rivela il perché sta “tornando”. Tolta quindi l’aura di originalità (a onor del vero, Balagueró con il precedente Nameless aveva un po’ anticipato la moda), la pellicola è anche debole nella struttura e parca di spaventi (cioè, anche, di tensione preparatoria) e, in fondo, si risolve in una classica storia di fantasmi dove la protagonista deve scoprire perché lo spirito è arrabbiato. Di buono, ha due sequenze toste (quella in cui l’infermiera e il bambino restano bloccati in ascensore e quella in cui l’infermiera esplora il secondo piano) e un colpo di scena finale con una maschera del “mostro” di turno notevole, essendo il fantasma cinto da protesi di ferro per la fragilità ossea. Davvero terribile. Balagueró non è un fenomeno nella visionarietà horror e Calista Flockhart ha una sola espressione: incazzata/preoccupata. Degno di nota il commento sonoro, sempre preponderante nelle opere del regista.