Drammatico, Recensione, Sala

FOREVER YOUNG

Titolo OriginaleLes Amandiers
NazioneFrancia
Anno Produzione2022
Durata126'
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Alla fine degli anni ’80 Stella, Etienne, Adèle hanno una ventina d’anni. Superano l’esame di ammissione alla famosa scuola creata da Patrice Chéreau e Pierre Romans al teatro Amandiers di Nanterre. Lanciati a pieno regime nella vita, tra passione, giochi e amore, insieme vivranno un’esperienza cruciale, ma anche le loro prime grandi tragedie.

RECENSIONI

Sono ormai quasi vent’anni che Valeria Bruni Tedeschi ha debuttato alla regia, un percorso segnato da un’autobiografia sublimata in racconti che disegnano una sorta di vita parallela che si rispecchia in quella reale dell’attrice, distaccandosene sempre un po’, a creare una strana autofiction che si muove ai confini della verità («Se io faccio un film con una sorella, non è mia sorella. Se faccio un film con una madre, anche se interpretata dalla mia stessa madre, non si tratta di mia madre»). Un cinema autoriflessivo - qui alla prova dell’amarcord - che trova alla fine l’importante approdo al concorso del festival di Cannes: Les Amandiers (il suo titolo numero sette) è, ancora una volta, un’opera che guarda alla vita vissuta (Stella, la protagonista, è l’evidente alter ego dell’autrice), stavolta attraverso lo spettro temporale del passato (siamo negli anni 80). Rievocando il periodo della sua formazione teatrale alla scuola di Patrice Chéreau al teatro Amandiers di Nanterre (la frequentano all’epoca anche Bruno Todeschini, Vincent Perez, Agnès Jaoui…), si narra allora di Stella che, con i compagni, vive la sua vocazione, incontra l’amore e un grande dolore. Bruni Tedeschi riflette ancora sull’essere attrice, stavolta andando alle radici, a mostrare le origini di una passione e una tendenza all’autoriflessione: in questo senso il film è anche la messa a nudo della genesi del suo cinema autoanalitico. Chéreau ne è la radice ché sulle tavole di quel palcoscenico, secondo i dettami del maestro, gli attori erano carne e anima in esposizione costante e dolorosa. 

E più che nel ritratto affidato a Louis Garrel, il regista-guru lo si ritrova nello stile survoltato del film, nella magniloquenza del gioco attoriale, nel nervoso muoversi della macchina da presa, in quella urgenza espressiva (altri direbbero isteria) che fu una delle sue riconoscibili cifre. L’irruenza, l’instabilità, l’energia del maestro innervano, dunque, l’affresco instabile di una gioventù che vive sulla sua pelle le paure e le ferite di quegli anni. Cronaca di un apprendistato (di arte e vita, in confusione costante) e di un periodo difficile (i conflitti sociali, la tossicodipendenza, lo spettro dell’Aids), Les Amandiers è sincero e appassionato (gli fa eco Attrici, che Bruni Tedeschi diresse nel 2007), ma, se nell’esagitazione vive lo spirito di un gruppo di lavoro (e un metodo), forse le si demanda troppo, lo sguardo talvolta rimanendo in superficie, inciampando, a tratti, in un’idealizzazione entusiasta fino all’ingenuità.
Valeria non recita stavolta, ma forse non c’è mai stata così tanto.