Drammatico, Recensione

FIRES ON THE PLAIN

Titolo OriginaleNobi
NazioneGiappone
Anno Produzione2014
Durata87'

TRAMA

Verso la fine della Seconda guerra mondiale, i soldati giapponesi nelle Filippine sono ormai ridotti di numero e stanno soccombendo per mano della resistenza locale e dell’offensiva americana. I pochi sopravvissuti, tra cui il soldato Tamura, interpretato dallo stesso Tsukamoto, hanno ormai perso ogni barlume residuo d’umanità. L’odissea di Tamura lo porterà da un ospedale di campo alla giungla, tra imboscate di soldati americani e guerriglieri filippini, nel disperato tentativo di raggiungere un porto dove una nave giapponese raccoglie i soldati superstiti per il rimpatrio.

RECENSIONI

Fin dai suoi esordi cinematografici, con Tetsuo, non il suo primo film ma quello che lo ha fatto conoscere a livello internazionale, Tsukamoto Shinya si è posto come l’autore delle mutazioni corporee, delle ibridazioni tra carne e metallo, secondo una sua personale declinazione di temi cronenberghiani, e della letteratura cyberpunk e dell’estetica di H. R. Giger. Centrale nella sua filmografia è il film Vital, dove il regista intraprende un viaggio nel corpo umano, attraverso dissezioni, eviscerazioni e dissezioni di cadaveri – per fare il film il regista aveva assistito a vere autopsie – alla ricerca dell’anima. I brandelli di tessuti, ossa, muscoli via via rimossi, l’anatomia scomposta per cercare un contenitore della coscienza, dello spirito umani. Centrale per il regista è quel rapporto tra animato e inanimato tanto peculiare nella cultura nipponica che si fonda sulla religione shintoista, una sorta di animismo che vede il mondo popolato di divinità , tra materia e spirito laddove per la prima il confine tra carne e metallo appare labile. Il cyborg, creatura fantascientifica che è un organismo misto di parti biologiche e meccaniche dove il cervello rimane organico, che Tsukamoto rappresenta in Tetsuo, a differenza della tradizione del genere, ha un cervello di metallo.

Sempre in bilico tra anima e carne, Tsukamoto approda al film di guerra. Cosa resta dell’anima in un contesto estremo di sopravvivenza tra corpi malati, cadaveri impilati, frammenti di corpi? Un contesto dove ogni barlume di umanità sembra ormai irrimediabilmente perduto. Tsukamoto riadatta per il grande schermo un romanzo chiave della cultura pacifista del dopoguerra nipponico, Nobi – La guerra del soldato Tamura, scritto nel 1951 dallo scrittore Ōoka Shōhei, basato sulla propria esperienza di soldato di stanza nelle Filippine, dove fu fatto prigioniero. La prima trasposizione, del 1959, nella settima arte di quel libro rappresenta un classico del cinema antimilitarista giapponese. Un film di Ichikawa Kon che porta avanti i discorsi pacifisti e umanisti del suo più celebre, in Occidente, L’arpa birmana, che, con Nobi costituisce un dittico. E che possiamo accomunare a un altro caposaldo del cinema antimilitarista nipponico dell’epoca, La condizione umana di Kobayashi Masaki sempre uscito nel 1959. Se tutti questi film rappresentano l’espressione di una forte cultura umanista che pervadeva gli intellettuali nipponici del dopoguerra, ispirata a istanze illuministe di parità e diritti, Tsukamoto si pone, per il diverso contesto storico e per il suo personale percorso di autore, in una posizione post-umanista. Qual è la condizione umana quando l’uomo è rappresentato da ammassi di carcasse, cadaveri e corpi amputati, teste mozzate, brandelli di carne? Torna quell’estetica della marcescenza dell’organismo, della putrefazione, della eviscerazione: l’uomo è materia organica, corpo fragile pronto a essere smembrato e ridotto a poltiglia. Pronto a essere usato come carne per atti di cannibalismo, carne interscambiabile con quella di scimmia. E la natura, che nella concezione orientale rappresenta l’estensione dell’uomo e della sua anima, è inizialmente rappresentata da un eden tropicale fatto di fiori e frutti colorati, di quelle lucciole tanto care alla cultura nipponica che ne fa il simbolo ancora dell’anima e della reincarnazione dopo la morte. Ma nel corso del film la natura assume  l’immagine dalle sanguisughe divorate dai soldati spinti dalla fame. Dov’è l’anima? Tsukamoto se lo chiede questa volta urlando. In un Giappone che sta vivendo i postumi di Fukushima, che sta tornando a dotarsi di un esercito regolare dopo che, dal dopoguerra questo era rappresentato da un corpo di sola autodifesa, l’urlo di Tsukamoto è straziante e lancinante.