
TRAMA
Italia fascista: un veneto campagnolo, dopo l’assassinio di un suo caro, si reca in una casa di tolleranza romana, da una prostituta, per attentare alla vita del Duce.
RECENSIONI
Dopo il grande successo internazionale di Mimì Metallurgico Ferito nell'Onore, Lina Wertmüller ripropone la prodigiosa maschera con occhi sbarrati di Giancarlo Giannini (cercata con molti primi piani), in un altro ruolo di eroe disgraziato: gli riempie la faccia di lentiggini, lo piazza, come un pulcino spaesato, in un bordello romano simbolo di un’Italia divisa in dialetti, e ne fa un’icona sgangherata ma potente della lotta antifascista. E’ tipico del cinema della regista confezionare opere formalmente raffinate, anche grazie al marito scenografo/costumista Enrico Job, in cui collocare però personaggi laidi e vari modi volgari: la prima parte, ambientata nella casa di tolleranza, si sollazza fra tante prostitute triviali (fra cui una grande Mariangela Melato, puttana “compagna” da Bologna) ritratte, fino ai peli e pori della pelle, in tutta la loro gioiosa veracità, con modi più felliniani (non a caso c’è Nino Rota alle musiche) della precedente opera (che era germiana); la parte centrale si immerge, con una tenerezza unica, nella romantica storia d’amore; quella finale fa trionfare l’Ideale, la politica dei poveracci con le palle piene del Duce, in un grido disperato e tragico, chiosato da una citazione di Errico Malatesta (“Quegli assassini sono anche dei santi e degli eroi...e saranno celebrati il giorno in cui si dimenticherà il fatto brutale per ricordare solo l'idea che li illuminò e il martirio che li rese sacri"). Vitali, sanguigne, atipiche tinte forti negli impasti di sarcasmo comico/paradossale, sentimento, tragedia, impegno civile e caricatura (memorabile quella della camicia nera villana e boriosa, su cui il mite personaggio di Giannini sfoga la sua ira). Una poetica che nobilita lo squallore, il carnale e il popolaresco, trasfigurandoli in eleganti visioni d’autore.
