Commedia, Recensione

FIGLI

NazioneItalia
Anno Produzione2020
Genere
Durata97'
Sceneggiatura
Trattodal monologo teatrale I figli invecchiano di Mattia Torre
Fotografia

TRAMA

Nicola e Sara hanno scoperto a loro spese uno dei segreti meglio custoditi della contemporaneità: fare il secondo figlio, nell’Italia della natalità zero e della precarietà come regola di vita, rischia di innescare una bomba ad orologeria, e aprire il varco ad una serie di incognite spesso difficili da gestire. La relazione fra Nicola e Sara fa sentire ognuno di loro non riconosciuto nei suoi sforzi e gravato dal 200% delle incombenze familiari. Che fare allora quando tutto quello che vorresti è saltare fuori dalla finestra di casa tua e abbandonare il campo?

RECENSIONI

Una storia come tante: Nicola e Sara sono una coppia collaudata di quarantenni, con figlia a carico. Due lavori, una routine, la suddivisione quotidiana dei compiti al 50-50. Poi c'è la crisi, simboleggiata dall'arrivo inatteso del secondogenito e dalla conseguente rottura di un equilibrio meno solido di quanto si pensasse. In Italia, cinematograficamente parlando, questo è storicamente – e cronicamente – materiale o da dramma mucciniano (con corollario di turgori e dolori) o da commedia ultraleggera alla 10 giorni senza mamma. Il manicheismo della nostra industria, a grandi linee, ci guida verso due opposti a cui è difficile dar credito, che per un verso o per un altro ci e si sgravano dal compito della piena e realistica analisi sociale e culturale. Figli, lungi dall'essere un'operazione priva di difetti o mancanze, si affranca con eleganza dalla scrittura – e dalla fruizione – automatica, cercando e spesso trovando uno slancio di originalità e freschezza narrativa. Scritto dal Mattia Torre dei televisivi Boris e La linea verticale, il film è tratto dal monologo teatrale I figli invecchiano interpretato da Valerio Mastandrea, che è anche uno dei due protagonisti della pellicola. La prima “anomalia” è il tentativo di trasporre quel materiale senza snaturarne le caratteristiche, sperimentando un ardito innesto fra i due medium. Spesso Figli si rinchiude nelle quattro mura dei soggiorni, dei ristoranti e delle scuole, rendendo gli ambienti palcoscenici sui quali si svolgono veri e propri atti teatrali. Sequenze sovente autoconclusive, piccoli excursus a episodi che aumentano l'effetto – desiderato – di straniamento e alienazione, dimenticando tuttavia qua e là la coesione delle singole parti.

L'espediente trova probabilmente la sua più efficace realizzazione proprio nel momento in cui si scollega del tutto dalla realtà, quando i caratteri in gioco vengono calati in un panorama totalmente bianco che ben ne tratteggia il sentimento di emarginazione esistenziale. Una “zona franca” già utilizzata altrove da Torre, scomparso prematuramente poco prima dell'inizio delle riprese. E, al di là degli stratagemmi visivi, è proprio a livello contenutistico che il regista Giuseppe Bonito (sodale di Torre, e al suo fianco già nel sopraccitato Boris) gioca la partita più importante e difficile. Perché l'impronta artistica di Torre è marcata, così come lo è il suo stile di regia. Bonito tiene fede alla franchezza di Torre, che ha sempre permeato le sue opere di umorismo dell'assurdo (qui ben rappresentato dal lancio dalla finestra dei protagonisti, nel tentativo di sfuggire ai loro soffocanti obblighi, e dal pianto del neonato sostituito dalla Patetica di Beethoven), veicolo di lucide riflessioni (disincantate, ma mai maliziose né nichiliste) sull'Italia degli anni 2000 / 2010. Messaggi in cui è facile riconoscersi, ma non per questo meno veritieri: basti pensare al rabbioso scontro tra Paola Cortellesi e sua mamma, ovvero tra una generazione a cui è stato rubato il futuro dopo il boom economico, perennemente in lotta per la sopravvivenza, e una che non è disposta a rinunciare ai propri privilegi in virtù dei sacrifici che già sta compiendo per i propri figli. La storia è ciclica, i genitori di oggi sono (stati) i figli di ieri; e in questa presa di coscienza – che essenzialmente è un invito ad accettare la realtà prima di poterla modificare, e ad avere cura di noi stessi e di chi ci sta intorno, anche se non lo comprendiamo – sta il lascito ultimo di un autore di cui si sentirà forte la mancanza.