TRAMA
1. Gina, una ragazzina un po’ secchiona, si addormenta in biblioteca e salta un esame a cui tiene molto. Chiede aiuto al professore per rimediare in qualche modo, ma questi la ignora cinicamente. Presa dalla disperazione, allora, sale sul tetto della scuola e si lancia nel vuoto…
2. Diventato agente di polizia, un ex militare segnato dagli orrori della guerra decide di togliersi la vita poiché disgustato dalla malvagità dilagante. Il luogo prescelto per il suicidio è un albergo in riva al mare: all’alba, tre pallottole sono nel tamburo e la canna tocca la tempia. Ma sulla spiaggia ci sono due uomini loschi…
3. Yim Chun-bong, un gay single, si sveglia la mattina del suo settantesimo compleanno e inizia a preparare la festa in attesa degli amici. Passano le ore ma non si presenta nessuno. Preso dallo sconforto e abbattuto dall’indifferenza generale, Yim si avvia verso i binari per “tuffarsi” sotto un treno. A pochi metri da lui scorge però un uomo vestito di nero con una borsa marrone in mano…
RECENSIONI
Prodotto dalla casa indipendente IndieStory, “Fantastic Parasuicides” è un film a episodi sul tema del suicidio (sventato). I protagonisti dei tre episodi sono infatti individui che hanno intenzione di togliersi la vita, ma il sopraggiungere di avvenimenti imprevedibili vanifica i loro propositi, persuadendoli che la vita vale comunque la pena di essere vissuta. La tematica, a evidente rischio buonismo, è declinata brillantemente dai tre registi che dimostrano, ognuno a modo proprio, di saper “lavorare” le immagini con talento e vivacità. Il primo segmento, intitolato “Hanging Tough” (“Tenendo duro”, 30’), è diretto da Park Soo-young con mano rapida e leggera: il tentato suicidio della giovane Gina (Han Yeo-reum) dà il via a una serie di situazioni strambe e paradossali (la sempre più stordita adolescente è costretta ad arginare le intemperanze di altri tre aspiranti suicidi: un suo compagno di scuola e ben due insegnanti), in cui non è affatto agevole distinguere realtà e immaginazione. Per accentuare la spiritosa confusione, Park infarcisce l’episodio di trovate narrative (l’inizio in pieno panico, i sogni nei sogni) e visive (slow motion e fast forward in grande quantità, vertiginosi tuffi nei tubi delle macchine e giochetti simili) che riescono a impressionare e divertire senza scadere troppo nel virtuosismo gratuito. Niente di sensazionale, beninteso, ma senz’altro un risultato godibile. L’aspirante suicida coetaneo di Gina è Tablo, uno dei membri del gruppo hip-hop coreano Epic High.
Se “Hanging Tough” gioca tutto sull’impeto e sull’esuberanza, denunciando una marcata impronta fumettistica, “Fly Away, Chicken!” (“Vola via, pollo!”, 24’) frequenta al contrario territori cinematografici solenni e rarefatti, prendendoli in prestito dal repertorio bellico e da quello noir. La sequenza d’apertura ci scaraventa infatti in uno scontro militare ad altissima potenza di fuoco in un pollaio (situazione non troppo credibile a dire il vero), mentre il seguito si assesta su atmosfere che richiamano la sontuosità di Park Chan-wook (soprattutto “Old Boy”) e l’essenzialità di Kitano (“Hana-bi”), rese ancora più stilizzate dalla quasi totale assenza di dialoghi. Cosa colpisce per efficacia e originalità è tuttavia il meccanismo comico che le sgonfia: quanto più queste atmosfere sono enfatiche e magniloquenti tanto più l’abbassamento di tono è impietoso e degradante. Ecco allora la passeggiata solitaria in riva al mare trasformarsi in un ridicolo dialogo in “coccodesco” tra l’aspirante suicida e un pollo impigliato in una rete. Ecco la lettera di addio scritta con espressioni ultraretoriche essere ridicolizzata da una tronfia marcia militare e recitata sarcasticamente da una voce altisonante. Meccanismo della caricatura e dello sgonfiamento che tocca l’apice nel finale, quando il pollo liberato all’inizio “precipita” di nuovo in scena, con effetti di comicità assurda e straniante. Cho Chang-ho, classe 1972, muove la cinepresa con ghignante eleganza, divertendosi (e divertendoci) a distruggere quello che ha creato e a risolvere il tema assegnato in chiave beffardamente aperta. Valore aggiunto: il bel Kim Nam-jin nei panni del poliziotto protagonista.
L’ultimo episodio di “Fantastic Parasuicides”, “Happy Birthday”, è una sorta di terza via allo svolgimento della tematica data: stemperando i funambolismi narrativi con improvvise sospensioni drammatiche, Kim Sung-ho porta in qualche modo alla sintesi gli approcci dei due corti precedenti. Pur non privo di qualche lungaggine e calo di ritmo (d’altra parte coi suoi 38’ è il più esteso del trittico), “Happy Birthday” riesce a coniugare impaginazione fumettistica (ravvisabile nel gusto per il dettaglio squillante e nella propensione al montaggio sincopato) e raffinata compostezza (si vedano i sontuosi campi lunghi e le studiate composizioni dell’inquadratura), trovando nella misura del primo e del primissimo piano la forma cinematografica adatta per comunicare delusione, coraggio e riscatto esistenziale di un uomo giunto al settantesimo compleanno con un bruciante fallimento personale alle spalle. L’occasione per vincere paure paralizzanti e superare limiti radicati si presenta a Yim Chun- bong (il bravissimo Jung Jae-jin) proprio quando tutto sembra perduto e le persone più care sembrano averlo abbandonato. Eppure, aiutando il giovane (e carino) Philip (Gang In-hyeong), il vecchio e intorpidito Yim ritrova quella verve e quello smalto che credeva di aver perduto quasi cinquant’anni prima. E, insieme al coraggio, ritrova sorprendentemente l’affetto e la tenerezza degli amici più cari in un finale che lancia la sorridente malinconia di Kaurismäki e la strampalata euforia di Kusturica in uno splendido tuffo a volo d’angelo nel mare. Al rallentatore, ovviamente. “Fantastic Parasuicides” è stato invitato al Sydney International Film Festival del 2008.
