TRAMA
In piedi nell’atrio del Teatro San Martín a Buenos Aires, Argentino Vargas aspetta che qualcuno lo conduca al decimo piano per assistere alla proiezione del film nel quale interpreta il ruolo principale. Misael Saavedra, anche lui invitato allo spettacolo, si perde all’interno del cinema mentre cerca di trovare la sala di proiezione.
RECENSIONI
Sporadiche persone si aggirano attraverso locali e corridoi di un vecchio grande edificio: qualcuno controlla il regolare sgocciolio di un bagno incrostato, un uomo si aggira incerto facendo risuonare le scale sotto i suoi passi, un altro si perde tra gli armadietti di uno spogliatoio arruginito; talvolta si incrociano, in un ascensore dal suono cupo che rimbomba nel vuoto o dal martellante segnale di "fuori servizio", o magari in un'angusta cucina per una breve pausa pranzo. L'edificio è un cinema, una volta teatro. I suoi abitanti gli addetti alla sala, che si adoperano nell'esercizio delle loro funzioni. Ma per chi? Lisandro Alonso fa il suo personale "Bu San", riprendendo da Tsai Ming-Liang non solo gli stessi topoi ma anche un'analoga struttura sintattica-stilistica: dalla composizione dell'immagine alla dilatazione di tempi e movenze (ma rinunciando più spesso all'inquadratura fissa a favore di lente carrellate), dalla scelta di ambienti freddi dalle superfici riflettenti alla cura del suono con i suoi effetti sul vuoto silenzio circostante. Ma solo ad uno occhio ditratto "Fantasma" può apparire un mero esercizio di trascrizione del capolavoro di Tsai Ming-Liang (per inciso l'unico lungometraggio non uscito nelle sale italiane, tanto per sottolineare il rinomato acume dei distributori nostrani). Infatti Alonso si disinteressa della poetica socio-esistenziale del maestro malese e prende una direzione più metacinematografica e autoreferenziale: l'unico spettatore del film è l'attore del film proiettato (il film nel film) e il regista del film nel film è il regista del film (Los Muertos, precedente lungometraggio di Alonso). Il cinema è ormai un luogo "chiuso", vissuto solo dai pochi fantasmi che vi fanno parte, capace solo di guardare al proprio interno e senza che nessuno dall'esterno dia l'impressione di voler entrare. E se la solitudine prende il sopravvento c'è sempre la tv a teletrasportare nel popolato mondo dei vivi. Ha dunque un sapore amaro l'ironia del loop metalinguistico della seconda parte ma forse ha ragione Alonso, almeno a giudicare dal pubblico che la lasciato progressivamente deserta la sala dove veniva proiettato il film (quello vero, il Massimo 3).
