FALKENBERG FAREWELL

Anno Produzione2006

TRAMA

A Falkenberg, sulla costa svedese, l’estate di cinque ragazzi alle soglie dell’età adulta.

RECENSIONI

Giovinezze tormentate nella provincia svedese: l’eccessiva quiete diventa inquietudine e morte procurata, la solitudine e l’insoddisfazione sono il pane quotidiano per i protagonisti di un film in cui ciascun personaggio ha tutto tranne ciò che vuole davvero. Il giovane regista (27 anni, al suo debutto), in odore di Van Sant, ricorrendo a puntuali didascalie, indirizza l’analisi sui soggetti, prendendoli in considerazione uno per uno. L’opera non manca di profondità anche se talvolta scivola in una ritrattistica d’ambiente un po’ autoindulgente; anche le lunghe carrellate sui paesaggi, i dettagli sugli elementi naturali non bilanciano sempre un ordito a volte verboso in eccesso (la voice over è a tratti mero orpello). Tuttavia il film, girato in digitale, reca un’impronta personale e non si concede mai alle facili soluzioni dell’opera “generazionale”. Bellissime le foto dei titoli di coda.

Andando a Goteborg

Le grandi scritte che riproducono una grafia umana sono sempre un pessimo segno: lo avevamo imparato già con Melissa P, noiosa parabola sulle crisi adolescenziali. Con Farväl Falkenberg invece vengono messe sotto l’obiettivo le paure e le angosce di chi si ritrova ad abbandonare definitivamente e forzatamente l’infanzia, ma il risultato non è poi troppo migliore di quello di Guadagnino. Ganslandt, firmando la sua opera prima, si dedica ad un presunto progetto corale che vede protagonisti un gruppo di giovani legati da profonda amicizia sin da quando erano bambini: hanno condiviso gioie e dolori, risate e momenti di silenziosa tristezza. L’estate svedese, fatta di placido mare grigio e di gorgoglianti ruscelletti, scorre lentamente, raccontata da frammenti di pagine di un diario scritto nei momenti di solitudine da uno dei protagonisti, che lascia in eredità a carta ed inchiostro i propri incubi ed inquietudini quotidiane. Ganslandt segue passo dopo passo le evoluzioni della storia, incollandosi alle figure dei suoi personaggi, senza abbandonarli un minuto, facendo trasparire il legame fra le varie personalità pur analizzandole una alla volta in maniera meticolosa. Se non altro dal punto di vista strettamente visivo è inutile negare che soprattutto alcune sequenze ricordano molto da vicino Last days di Van Sant (David gioca da solo nella foresta, lanciandosi in lungo discorso –immaginario- con l’amico Holger, come Blake/Cobain di Van Sant si aggirava per i boschi in preda a borbottanti farneticazioni). Il regista statunitense viene più volte richiamato alla mente dalle scelte di Ganslandt, basti pensare ai personaggi presentati in scaletta uno alla volta, ai nomi reali degli attori che corrispondono a quelli usati nella finzione come in Elephant, al senso piuttosto diffuso di diffusa desolazione che attraversa l’intero film. Lo spirito di profondo sconforto che anima la pellicola è però fortemente suggerito anche dal territorio in cui viene ambientato Farväl Falkenberg: la Svezia provinciale, fatta di lunghe distese vuote e di grandi silenzi incolmabili è la cornice perfetta per approfondire i sogni e le insicurezze di cinque ragazzi alle prese con l’inizio dell’età adulta. Basta pochissimo per accorgersi che l’operazione è troppo facile e fin troppo retorica: non bisogna illudersi infatti che sia riportata sullo schermo una storia genuina, che sappia raccontare con sincerità i sobbalzi dell’animo di giovani inevitabilmente inquieti. Zigzagando fra i luoghi comuni Ganslandt si impantana nella triste melma della retorica, uccidendo con un secco colpo di fucile (come farà poi qualcun altro sulla scena) ogni possibilità di naturalezza. I pochi dialoghi, che sarebbero potuti essere l’arma giusta per approfondire rapporti di sguardi e legami forti ma muti (il Kim Ki-Duk del passato recente è stato straordinario in questo, si pensi a Ferro 3 o a L'Arco), appaiono talmente tanto “urlati” nella loro misura di banalità che riescono ad infastidire nonostante in realtà siano davvero poco numerosi. Bella la fotografia, curata da Fredrik Wenzel, presente nel film anche come sceneggiatore insieme a Ganslandt, che ben si adatta ai toni lividi del territorio e in senso traslato anche a quelli dei protagonisti: è evidente però che non può essere solo la bellezza dei colori delle immagini a fare la differenza. I personaggi sono vittime della società che li circonda ma anche di loro stessi, la piccola cittadina sul mare con il vivere lentamente si trasforma da amato luogo di giochi e scorribande a prigione di case e giardini, mentre l’unico modo per evadere dalla realtà e sentirsi qualcuno è imbottirsi di droga e alcool. Se fosse stato realizzato con un minimo di scrupolo e con una certa attenzione alla spontaneità, Farväl Falkenberg avrebbe illustrato un interessante percorso di crescita e di morte. Invece il risultato è solo di una petulanza infinita.

Priscilla Caporro