Drammatico

EYE ON JULIET

Titolo OriginaleEye on Juliet
NazioneCanada
Anno Produzione2017
Durata91'
Sceneggiatura

TRAMA

Nel deserto mediorientale appare uno strano robot a forma di ragno che sembra perlustrare l’orizzonte. Dall’altra parte del mondo, in America, Gordon, pilota del drone, è custode a distanza di sicurezza dell’oleodotto che attraversa quel deserto. Sentendosi un estraneo in un mondo che comprende sempre meno, inizia ad appassionarsi alla vita di Ayusha, una giovane donna costretta a sposare un uomo più anziano che non ama. Nonostante la lontananza, la diffidenza reciproca e una relazione inadeguata, Gordon si innamora di lei e fa tutto il possibile per aiutare Ayusha a sfuggire al suo destino.

RECENSIONI

Il regista canadese Kim Nguyen cavalca l’attualità combinando tematiche quanto mai brucianti e riconducibili, pur nella diversità che le caratterizza, a un unico tema, quello del controllo. Sia che si tratti di evitare furti o di combinare matrimoni, infatti, è attraverso il controllo che si esercita, e impone, il proprio potere. Un potere che tende a preservare i propri presunti privilegi: di un paese che sfrutta le risorse di un territorio (spesso a discapito di chi ci abita), oppure di un genitore che decidendo il marito per la figlia tende a tutelare soprattutto il proprio status (spesso a discapito della volontà dei promessi sposi). I protagonisti vivono due situazioni agli antipodi: lui lavora a Detroit e comanda da remoto un robot a forma di ragno (una sorta di drone da terra) posizionato in Nord Africa per controllare eventuali impropri ai danni di un enorme oleodotto. Lei, invece, vive in Nord Africa, nel raggio di azione del robot, e ha in mente di scappare in Francia, su un barcone con il suo innamorato, per fuggire a un matrimonio combinato dalla famiglia. Il dipanarsi della vicenda mantiene un’efficace progressione e impiega un po’ per trovare il suo centro, aspetto dapprima spiazzante e invece in grado di accrescere la curiosità nei confronti dei personaggi. Si comincia entrando in contatto con il giovane di Detroit e il senso di vuoto che lo assilla, tra relazioni instabili e un lavoro spersonalizzante. In parallelo si entra gradualmente in contatto con la ragazza nordafricana e ciò che le gravita intorno, dal ragazzo che ama alla famiglia che la indirizza verso un differente e obbligato legame affettivo. Sulla scia di Good Kill di Andrew Niccol, ma senza che il terrorismo sia il fulcro dell’azione, l’America non sta a guardare ma interviene per dare una svolta positiva agli eventi. Il ragazzo, infatti, viola decine di protocolli e si fa paladino della giustizia passando all’azione. Nel momento in cui un sentire gentile ed eroico concretizza il riscatto del protagonista, però, accade tutto molto in fretta, senza che i personaggi, figuriamoci lo spettatore, abbiano modo di metabolizzare il rapido succedersi degli accadimenti. Il finale butta lì addirittura un’esca melodrammatica citando esplicitamente Un amore splendido e i suoi numerosi epigoni, ma ancora una volta è tutto troppo semplificato per arrivare in modo davvero incisivo. Finisce quindi che le premesse siano più interessanti degli sviluppi.