
TRAMA
La Storia di Excalibur e dei suoi possessori, il regno di re Artù, la tavola rotonda, gli amori, la ricerca del graal, la decadenza e la diaspora dei cavalieri, la morte.
RECENSIONI
La Storia vive nella natura e nei simboli che ad essa alludono: gli uomini sono costretti al rispetto del divenire, è dominatrice eterna; su di essa non hanno potere, qualunque contatto più profondo fa scontare pene e fatiche, ben lo sa Merlino che nell'evocare il Drago (quintessenza del fluido, alito di vita) teme per sé stesso, lui che è solo un intermediario, sovratemporale servo del Tutto. Uther Pendragon dovrà generare Artù (Arhtur in realtà) il quale dovrà lottare, contaminarsi e sgretolare il proprio regno, Camelot (una Candalù wellesiana ma ugualmente opprimente), unirsi alla sorellastra Morgana e dare un senso alla propria permanenza tra gli uomini attraverso la Nemesi Mordred. Nel mentre ai cavalieri, erranti nella ricerca sì del Graal ma pure della loro possibilità di esistere in quel luogo, in quel tempo, non si dà altro che la possibilità di intessere legami, di rincorrere la purezza ch'essi stessi hanno infranto: il tempo, smettendo di essere sempre uguale, circolare, mitico-naturale, ambito più proprio di Merlino, con la imposizione della figura umana, della legge, del gruppo sociale, si apre al rettilineo cristianesimo. Gli altari si ricopriranno di muschio, il mago, un sacerdote consigliere in fondo, gelato nel ventre del mondo, una nuova moralità, nuove paure si accostano alle vite, la pace mai trovata, Artù ed i suoi dilemmi, Lancillotto del Lago - tanto puro da infrangere l'infrangibile - ha rotto l'anello (circolare come la tavola e metafora del vincolo feudale oltre che erotico), Ginevra è persa per tutti, Exaclibur, la spada che sorge dalle acque, dalla limpida purezza dei recessi, nascosta, la malattia percorre le terre. Trovare l'introvabile è la missione per i cavalieri ma solo l'ultimo arrivato Percival riuscirà nell'impossibile: un sussulto copre il mondo, venuto il tempo di espiare gli alberi rifioriscono ed aprono il cammino alla cavalcata dei morituri. Nuovi scintillii, bagliori riusciranno a rompere la nebbia, si riuniranno i pochi sopravvissuti per coprire e saturare il terreno con il loro sangue: padre e figlio si abbracceranno con il dolore che solo la purificazione può dare. Excalibur torna dunque al ventre naturale, l'epoca della magia è finita, Boorman rende onore al ciclo cavalleresco arturiano fondendolo con i suoi motivi, primo fra tutti la natura e l'uomo in essa (Duello nel Pacifico; Oltre Rangoon); l'emozione del sangue e della carnalità, l'onore come morale necessaria al gruppo, l'accetazione dell'inaccettabile, una messa in scena barocca ma calibratissima ed una fotografia che vive del verde nei riflessi dell'accaio e delle foreste si fondono in un opera emozionante.
