TRAMA
Un ragazzo iracheno cerca di attraversare il confine fra la Turchia e la Bulgaria per raggiungere l’Europa, ma viene immediatamente fermato da quelle forze di polizia di frontiera che spesso si alleano alla criminalità organizzata. Dunque il ragazzo fugge attraverso i boschi, cercando di rimanere vivo.
RECENSIONI
Europa è la rappresentazione di un pensiero, di una testimonianza. Viene riportato a fine film, e sono le parole di un migrante afghano, Khamran Khan: “Abbiamo attraversato la Bulgaria a piedi, per cinque giorni e cinque notti. Soprattutto le notti, attraverso le foreste, per paura di essere arrestati. All'inizio il gruppo era molto più numeroso. Abbiamo perso molti di loro in Bulgaria: si sono persi nel buio. Non sappiamo dove siano e se siano ancora vivi”. Il regista Haider Rashid – madre italiana e padre curdo, una carriera dedicata ai temi dell'identità e dei movimenti migratori – prende quella frase e la rende immagine in movimento, esperienza multi e polisensoriale. A suo modo Europa (presente alla Quinzaine des Réalisateurs 2021) è un'opera scandalosa, perché esplicita e rende palese un discorso che di solito viene affrontato in modo superficiale o astratto, o che resta inchiodato alle assi della propaganda politica. Il processo è molto semplice, ovvero essenziale: non c'è alcun bisogno di una vera e propria “narrazione”, non servono dialoghi, non serve musica; basta ipotizzare la traversata, come una presa diretta, basta inseguire un ragazzo nella sua corsa disperata verso una possibile libertà. Noi siamo quel giovane, Kamal, che con le scarpe rotte e la maglietta del calciatore Mohamed Salah sta provando a raggiungere l’Europa a piedi, lungo la cosiddetta “rotta balcanica”. Siamo il (nel) suo sguardo, il suo fiato corto, il suo istinto di sopravvivenza. E siamo, di conseguenza, alla stregua di un oggetto o di un animale da cacciare, la cui esistenza ha un'importanza pressoché nulla per le forze di polizia di frontiera, che spesso si alleano alla criminalità organizzata e a funzionari di alto rango dei governi.
Nella danza violenta che segue la fuga di Kamal – fatta di inseguimenti e colluttazioni, momenti di impressionante tensione emotiva e improvvisa stasi – restiamo quasi sempre incollati al suo volto, cercando di respirare con lui e percepire con lui quello che accade, in modo non dissimile a quanto già visto nell'ungherese Il figlio di Saul. In questo senso, il suono (curato da Gabriele Fasano, assieme al fonico Giandomenico Petillo) si dimostra un elemento fondamentale, perché ci offre un'immersione a 360°, diretta conseguenza del lavoro precedente di Rashid, No Borders (2016), primo documentario italiano in realtà virtuale. Disperso in una enorme foresta selvaggia, senza acqua né cibo, solamente con il suo passaporto e la sua forza di volontà, il protagonista affronta una prova durissima, che ha principalmente a che fare non tanto con la natura e le sue insidie quanto con gli altri esseri umani che intercetta lungo il cammino. C'è chi lo bracca (compresi i civili che pattugliano i boschi), chi prova per lui un misto di empatia e di terrore (la donna in auto, che sembra inizialmente ben disposta ad accompagnare il ragazzo in ospedale), chi gli offre un provvisorio ristoro; tutti caratteri a noi sconosciuti, così come lo sono per Kamal che deve semplicemente provare a fidarsi del prossimo. A proprio rischio e pericolo. E, del resto, anche del personaggio principale non ci viene data scientemente alcuna informazione aggiuntiva. Facile capirne le motivazioni: Europa è sì la storia di un personaggio, ma è anche la raffigurazione di un simbolo, una figura christi che rappresenta decine di migliaia di persone che ogni giorno scappano da guerra, povertà, fame e cambiamenti climatici, per costruirsi una nuova vita.