Drammatico, Recensione, Streaming

ENEA

TRAMA

Enea e l’amico Valentino sono molto uniti. Spacciano droga, non mancano alle feste più cariche di energia e per di più il secondo ha preso da poco il brevetto di pilota su aerei da turismo. La famiglia di Enea si compone di un padre psicoanalista malinconico, di una madre che non ha smesso di amare il marito e di un fratello che a scuola ha più problemi che soddisfazioni.

RECENSIONI

All’opera seconda Castellitto conferma la solidità del suo esordio: un’allergia all’intreccio tradizionale, una spiccata propensione - all’opposto - per la frammentazione di un racconto che, soffermandosi su una pluralità di personaggi-figure, lascia intravedere la sua architettura senza mai esibirla, quasi negandola. La scrittura del film è ardita perché costruisce una narrazione mai leggibile in toto, lavorata per fili che si annodano gli uni agli altri in modi anche imprevisti, un procedimento che alimenta le deduzioni dello spettatore, non concedendogli mai un quadro completo della storia, ramificandosi quest'ultima attraverso anticipazioni, scarti, allusioni. Un film che anche nella sua propensione all’affresco - oltre che per i toni e i caratteri dei personaggi - è già post-sorrentiniano. Riferimento, quello al regista napoletano, inevitabile e giustamente sottolineato da molti, e che adduco in primo luogo alla rilevanza che nel film assume l’immagine: perché Enea mi pare costruito, prima ancora che per situazioni, bozzetti e sipari, soprattutto per suggestioni visive e per quadri, istantanee rilegate in uno zibaldone che fugge la compostezza e cerca la “grande confusione”. E per il modo in cui la musica, in essi, acquista peso e valenza atmosferici. Poi, certo, c’è anche l’ordito, punteggiato come appare da dialoghi che ricordano, nella loro sentenziosità, nella formulazione aforistica, quelli di Sorrentino-Contarello. Anche il cinismo che serpeggia rievoca le invenzioni della coppia, nello stesso modo in cui, peraltro, le evocava quello che forse è stato il primo vero film post-sorrentiniano, La buona uscita di Enrico Iannaccone. 

Ciò detto Enea convince per come costruisce il suo mondo amorale, per quel dipingere la borghesia come stato mentale irrancidito, per la lucidità nel ritrarre il vuoto che i personaggi respirano, tra i frantumi di questa iperrealtà, dilavata nel grottesco, certo, ma mai davvero in-credibile (la commedia all’italiana evaporata, ormai puro retrogusto). Mica facile proporre un film senza eroi, popolato solo di disperati infantilizzati (coscienti o incoscienti di questa disperazione e di questo infantilismo), in cui se c’è una poetica di fondo a dettarla è la sgradevolezza (poiché il nostro tempo fa schifo), dove non c’è speranza alcuna e dove l’ironia (l’ipocrisia?) è la boa alla quale ci si attacca per non affondare.
Per questo si dissolvono al nero i baci? Perché sono tracce di un’umanità trapassata, note fuori registro, in questa feroce (e ferina) rappresentazione? Perché il gusto della (dolce) vita è ormai un fantasma che vaga tra le rovine della (grande) bellezza di Roma? Probabile, visto che l’unico schioccar di labbra visibile è quello finale tra i genitori di Enea, che finiscono per staccarsi dal suolo e fluttuare nel vuoto come in un quadro di Chagall: una raffigurazione ideale, poetica, impossibile (e già mortifera, non sto a dire perché).
Un finale che conferma - ma è tutto il film a “dirlo” nel suo stile survoltato (un tempo avremmo detto barocco) - quanto Castellitto creda nelle immagini.