Poliziesco, Recensione

END OF WATCH

TRAMA

Poliziotti di pattuglia al South Central di Los Angeles, Brian e Mike sono anche grandi amici: Mike sta per avere un figlio e Brian riprende tutto con una telecamera per un progetto cinematografico. Probi e onesti, pestano i piedi al cartello messicano.

RECENSIONI

David Ayer (anche sceneggiatore e produttore) nel South Central ci è cresciuto ma, anziché iniettare il suo film poliziesco di un nichilismo alla moda o di costumi culturali, in modo controcorrente dipinge due poliziotti che amano il proprio mestiere, credono nell’amicizia e nel valore dei buoni contro i cattivi (mentre commenta le proprie riprese, Brian sottolinea più volte questo concetto). Eroi istituzionali d’altri tempi, non sono indifferenti alla violenza che incontrano, rischiano la vita per salvare dei bambini, non mollano l’osso quando fiutano una pista. Anche in amore, il messicano Mike è un “tradizionalista” che adora la moglie e Brian ne segue i dettami con la nuova fiamma. Il found footage con stile da reportage alla Cops, mostrando unicamente (soprattutto nella parte iniziale) ciò che vedono le telecamere in campo (quella di Brian/una mini per Mike/la videocamera dell’auto) è mero mezzo estetico e non fine di moda per consegnare anche superbi brani di cinema poliziesco (l’inseguimento iniziale, in cui la soggettiva si alterna con la ripresa di un membro della gang messicana), ma viene presto tradito fomentando ambiguità, nel momento in cui non si è più certi se il rappresentato nasconda anche un operatore diegetico in campo. A fare la differenza. Comunque, è l’alchimia che si instaura fra i due attori protagonisti, un poco ricattatoria (lo comprovano i flashback finali che la santificano) ma preparatoria all’insopportabilità della tragedia. Singolarmente presi, gli ingredienti del film di Ayer non sono una novità, ma nel complesso funzionano, segnando punti nel genere, fra estetica, bravura attoriale, brani tragici, ritrovato spirito eroico.