Fantasy

EMBER – IL MISTERO DELLA CITTÀ DI LUCE

Titolo OriginaleCity of Ember
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2008
Genere
Durata95'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia
Costumi

TRAMA

Dal romanzo di Jeanne DuPrau. La leggendaria città  sotterranea di Ember, costruita come rifugio da lungimiranti scienziati preoccupati della fine del mondo, dopo 250 anni di onorato servizio si sta “spengendo”. Una ragazzina, Lina, trova una mappa/pergamena lasciata dai Costruttori che forse spiega come sia possibile lasciare Ember e tornare in superficie.

RECENSIONI

Sì, è un film per famiglie. E ok, più nello specifico il suo target ideale sono bambini/ragazzi di età compresa tra i 10-11 e i 15-16 anni, più eventuali accompagnatori. Il punto è: Ember è 'dunque' autorizzato a non coltivare fino in fondo la propria sostanziale sensatezza? Tanto per chiarire, non ci stiamo lamentando (tanto) delle evidenti, ellittiche contrazioni che la burtoniana Caroline Thompson (Edward mani di forbice, Nightmare before Christmas, La sposa cadavere) ha inserito in sceneggiatura per snellire la fonte romanzesca e renderla filmabile in una novantina di minuti, generando personaggi abbozzati, lacune narrative e vuoti di chiarezza espositiva. Se i 'danni' di sceneggiatura fossero stati solo questi, avremmo avuto un film per famiglie alla fin fine godibile, minato da personaggi abbozzati, lacune narrative e vuoti di chiarezza espositiva. I problemi, grossi, arrivano invece nella mezz'ora finale, quando lo script getta alle ortiche e poi calpesta quanto di buono aveva costruito fino a quel momento; dal punto in cui i due medio-piccoli protagonisti si lanciano sulla trivella a pedali in una fuga che sembra decisiva ma si risolve, letteralmente, in un incomprensibile nulla, Ember perde la bussola: il più che Bisecolare Segreto dei Segreti, consegnato ai Posteri dai Saggi Costruttori, si rivela infatti una sciocchezza fatta di barchette verticalizzate a mo' di armadietti che nessuno aveva mai 'smascherato', di enormi manovelle da ruotare in senso orario passate inosservate per oltre 200 (duecento) anni e di un piano di evacuazione quantomeno perfettibile (così com'è, trattasi di un progetto di esodo a ritmi di 2 -due - persone alla volta che, a bordo delle suddette minuscole barchette, salpano lanciandosi per 3-4 metri nel vuoto per poi affrontare una discesa a rotta di collo lungo un fiume sotterraneo che culmina in un leap of faith da una cascata tipo Salto Angel in miniatura). Questo a grandi linee, ma condito da un florilegio di particolari di rilevanza variabile capaci di annientare la suspension of disbelief di grandi e piccini. La cosa è tanto più fastidiosa perché l'evidente ambizione di Ember sembrava quella di costruire una fiaba sì, ma coerente, decisamente darkeggiante, improntata al realismo fantastico e non priva di risvolti adulti.

Non va comunque dimenticato che dietro la macchina da presa c'è quel Gil Kenan responsabile di Monster House, uno dei cartoni digitali più inconcludenti e soporiferi mai prodotti, che a fronte di una manciata di sequenze visivamente efficaci collassava proprio sul fronte del racconto, riuscendo a ingarbugliare e a rendere incomprensibile una vicenda che in avvio sembrava destinata a tediare piacevolmente a suon di stravisto. Questo per dire che anche stavolta le 'colpe' di una narrazione sostanzialmente fallimentare vanno (ovviamente? banalmente?) ripartite tra sceneggiatura e regia. E dire che Kenan si era nuovamente dimostrato non privo di un certo gusto immaginifico (l'ambientazione claustrofobica e ipocromatica riesce spesso a suggestionare), capace di azzeccare la singola sequenza (i 'duecenti anni in due minuti' ben risolti nel - quasi - piano sequenza iniziale) e abbastanza a suo agio quando il profilmico 'reale' lascia il posto alla Computer Grafica e il simulacro virtuale del movimento di macchina la fa da padrone (il percorso del sasso/messaggero finale, narrativamente assurdo a più livelli ma visivamente riuscito).

Infine, due parole sugli attori; da più parti si grida al miscasting (Bill Murray), al talento sprecato (Tim Robbins) e a quello confermato (Martin Landau). Diciamo la nostra: Murray dona al cattivo un'ironica sardonicità niente affatto disprezzabile, Robbins conferma la sua mancanza di talento mentre Landau ci pare mal servito da una sceneggiatura mortificante.

Dopo il cartoon adulto Monster House, il giovane Gil Kenan passa al live action e gira una favola adulta come un cartoon: come nell’opera precedente, la sua regia predilige un ritmo celere (eccellente ma non sempre efficace la sua mobilissima macchina da presa) che dimentica le rifiniture, necessarie per dare corpo al racconto tratto dal libro di Jeanne Duprau, almeno in assenza di meraviglie fantasy (che siano animate come nel suo esordio o figlie di effetti speciali qui assenti). La sceneggiatura è di Caroline Thompson, quella della fiaba nera La Sposa Cadavere di Tim Burton, regista che avrebbe apportato all’opera toni più grotteschi e creativi per valorizzare questo microcosmo claustrofobico; anche Terry Gilliam avrebbe accentuato le componenti visionarie e feroci, mentre un Jeunet avrebbe optato per la caricatura fumettistica con tante idee scenografiche. Kenan, invece, ha per le mani un enorme set teatrale, abbastanza anonimo nelle decorazioni, e appiattisce le potenziali allegorie e i molti riferimenti del testo (non così originale: dalla caverna di Platone a Orwell fino a La Fuga di Logan) sulla bidimensionalità del cartone animato, dove anche i personaggi sono macchiette. Di buono ha quel sapore alla Spielberg anni ottanta, fra bambini protagonisti, avventure eccitanti (pensiamo a I Goonies), sentimenti edificanti, modi da favola (ma non del tutto edulcorata: Kenan per fortuna ama i sani spaventi).