TRAMA
Per sfuggire a un destino di cure mediche, Ella e John sorprendono i figli ormai adulti salendo a bordo di un vecchio camper e scaraventandosi giù per la Old Route 1. John è svanito e smemorato ma forte, Ella è acciaccata e fragile ma lucidissima. Il loro viaggio attraverso un’America che non riconoscono più è l’occasione per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione, ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente.
RECENSIONI
Ella & John, primo lungometraggio in lingua inglese di Paolo Virzì, è tre film in uno, ognuno dei quali riconducibile ad un filone cinematografico ben preciso: è un road movie, è un Alzheimer movie ed è un “film americano” girato da un regista straniero. Nell’adattare il romanzo di Michael Zadoorian, si sono scomodate quattro coppie di mani: quelle dello scrittore Stephen Amidon (già autore del romanzo da cui è stato tratto Il capitale umano, qui probabilmente incaricato di “americanizzare” il racconto), quelle di Virzì stesso e quelle dei suoi co-sceneggiatori abituali, Francesca Archibugi e Francesco Piccolo. L’unione delle penne partorisce però un racconto innocuo e prevedibile, che affronta – o meglio – si limita a proporre i “generi” sopra indicati nella loro versione più compilativa e superficiale.
L’Alzheimer movie negli anni si è costituito come vero e proprio genere a se stante, con le sue regole e i suoi topos ricorrenti. La perdita della memoria analizzata nel suo lato socio-clinico come malattia degenerativa che devasta il corpo e lacera il tessuto dell’emotività familiare è il percorso intrapreso da classici del genere quali Lontano da lei e Still Alice. Ella & John in parte attinge a questa tradizione, meno interessato alla connotazione più materiale del deperimento fisico (i protagonisti sono già anziani ed è la vecchiaia, come condizione universale, a gravare in primo luogo su di loro), preferendo concentrarsi sulla componente emotiva, di lotta e persistenza del sentimento. Nel percorrere questa via Virzì addolcisce il dramma virando sui toni a lui congeniali della commedia amara, ma la conversione tradisce la premeditazione dell’approccio. Fra dialoghi punteggiati da troppi “tesoro” e “amore”, la narrazione procede per cliché zuccherosi e con poco mordente, in cui l’Alzheimer, alla fine dei giochi, riveste il semplice ruolo del significante vuoto, dell’espediente narrativo il cui unico scopo è servire se stesso. Da un punto di vista tecnico, si può forse dire che la malattia assumesse lo stesso valore narratologico anche in Remember. Anche nel film di Atom Egoyan, infatti, questa agiva come pretesto meccanico per far avanzare il racconto blocco dopo blocco. Ma se nel film del regista canadese la ripetitività dell’approccio e l’Alzheimer in sé parlavano ad un sistema di referenti più complesso (la memoria personale come memoria storica, dimenticanza e auto-negazione della stessa), in Ella & John si estingue in una serie ripetitiva di gag e prevedibili confessioni. Insomma è come se nel tentativo di compendiare vari temi e approcci con cui il tema dell’Alzheimer è stato sinora affrontato, al film manchi una visione meno insicura e più personale, che vada oltre la mera somma dei suoi componenti. Questa falla è forse imputabile a quel processo di “addolcimento”, di effettiva sdrammatizzazione di cui si parlava poco sopra, lo stesso per cui la malattia di John non viene di fatto mai menzionata con il suo nome proprio, ma viene piuttosto lasciata nell’indeterminazione come una qualche forma di demenza senile non meglio identificata – una variante che, in una dimensione irrealistica congeniata per non farci troppo male, permette a John di guidare comunque un camper attraverso gli States. (Allo stesso modo, le fitte e la parrucca di Ella non vengono associate a nessuna patologia precisa.)
La prevedibilità della progressione narrativa non è aiutata dall’impostazione da road movie del film. Nell’abbracciare le convenzioni del genere, il film non tenta mai di avventurarsi in direzioni alternative. Al contrario, la ripetizione pedissequa di uno schema viene ulteriormente appesantita da una scarsa volontà di osservazione, poco attenta e poso curiosa nei confronti di quei microcosmi americani con cui protagonisti si imbattono lungo il tragitto. Fatta eccezione per un paio di accenni, lasciati subito cadere, alla contemporaneità trumpiana (il film è ambientato durante il periodo elettorale nell’estate 2016), per il resto assistiamo inermi ad una sequela di luoghi comuni: la Old Route 1, i diners, i centauri, la natura occasionale, ecc.
Questa tendenza superficialmente compilativa è spesso una costante dei “film americani” girati da registi stranieri, i quali spesso ricorrono al road movie, più o meno turistico, per giustificare la propria impresa americana (ma Virzì in fondo lo aveva già fatto con il più sincero My Name is Tanino). Non riuscendo ad afferrare la specificità e la varietà culturale del luogo, Virzì popola il suo film di stereotipi. Gli sfugge inoltre il pieno controllo degli attori: se Sutherland è l’unico a brillare di una sua dolcezza comunque disarmante, Helen Mirren si impegna ma arranca nel suo falso accento sudista, mentre risultano incredibilmente fuori gamma le interpretazioni dei figli della coppia, fortunatamente relegati in ruoli secondari. Pur forse senza aver ancora mai partorito un vero capolavoro, Paolo Virzì è fra i registi più solidi e stimati del panorama italiano in diretta derivazione dalla tradizione della commedia all’italiana – se Ovosodo (1997) è già un classico del cinema generazionale, il precedente La pazza gioia (2016) rimarrà almeno per la strabordante caratterizzazione della protagonista. Virzì ha sensibilità, gusto per la battuta dolceamara, un occhio umano nel costruire i suoi personaggi. Ella & John è il tentativo di proiettarsi verso un panorama internazionale. È purtroppo un passo falso, gestito con scarsa preparazione.