Drammatico, Sala

EL CAMPO

Titolo OriginaleEl Campo
NazioneArgentina
Anno Produzione2011
Durata85'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Elisa e Santiago, giovane coppia con una figlia di 18 mesi, lasciano Buenos Aires per trasferirsi in campagna. La casa è fredda e ancora da ristrutturare. Una serie di piccoli eventi turba la quiete della famiglia.

RECENSIONI


Una coppia lascia la città e si trasferisce in campagna, è l’inizio delle difficoltà. El campo es así , afferma Santiago riferendosi ai rumori naturali e disturbanti della campagna: la campagna è la crisi. All’esordio nel lungometraggio di finzione Hernán Belón, regista proveniente dal documentario, gira la rottura di una coppia sottoforma di horror insoluto, dove gli elementi di paura emergono con chiarezza ma senza sbocchi, con l’unico obiettivo di definire l’ambiente, creare tensione. El campo attinge a piene mani al patrimonio di genere: la vecchia signora che penetra in casa senza preavviso, la sua invadenza inquietante (affiora il timore della sottrazione del figlio); il coniglio ucciso e sventrato, ipotetico correlativo e presagio di quanto può accadere alla famiglia; la pioggia incessante che impedisce alla coppia di lasciare la casa, l’auto che si ingolfa; la scena della bimba che si avvicina al recinto dei maiali, innescando l’automatica associazione di idee sul ruolo degli animali nell’horror (cfr. Hannibal); in generale il pianto ripetuto della bimba, rumore di disturbo che irrompe nei momenti più drammatici a enfatizzare la contesa dei coniugi; la battuta di Elisa quasi da slasher (- Non voglio che avvenga qualcosa di terribile).


Su questa tela, il film segue la presunta break-up della coppia (Dolores Fonzi e Leonardo Sbaraglia, attori in solida intesa) con una gestione dosata e intelligente degli stereotipi; dalla sbornia di Elisa fino all’ipotesi controversa di una seconda gravidanza, passando per la fuga a elastico della donna che sembra lasciare la famiglia, ma poi torna. Belón apre la storia in fieri, presentando lui e lei ma senza spiegare da dove vengono, cosa è successo, perché si trasferiscono; non è certo il trasloco in campagna che innesca la crisi, lasciando intuire un pregresso che possiamo solo immaginare. Il film a tappe si piega alle esigenze narrative del regista, rimestando a dovere nella banalità del quotidiano: lui e lei fanno l’amore, i dissidi scoppiano sempre per futili motivi (la casa è troppo fredda, i vicini troppo espansivi), il confronto aperto è ripetutamente rimandato fino all’unica scena madre. Con un’esattezza di particolari documentaria, sfruttando il rumore bianco della campagna, l’argentino ci conduce a un lieto fine apparente; il ritorno a Buenos Aires segna (forse) la fine della crisi, ma porta anche la sconfitta di Santiago, che vede infranto il suo progetto di lasciare la città: le lacrime del marito decretano l’ambiguo scioglimento finale. La rottura si ricompone, nulla sarà come prima.

Una coppia nella notte in auto. Una bambina che piange. Un vecchio casolare pieno di rumori sinistri. È con suggestioni affini all’horror che il documentarista argentino Hernan Belon ci accompagna nella sua opera prima di fiction, dove un uomo e una donna si trasferiscono, con la piccola figlia, dalla città alla campagna. Dialoghi minimali scandiscono sguardi non sempre conciliati: lui sembra più semplice e pare ambire a una vita agreste all’insegna delle piccole conquiste di ogni giorno; lei tradisce un’insofferenza costante, come se il menage familiare non le bastasse, se quella quiete scavasse in lei una voragine e facesse emergere frustrazioni e indecisioni ataviche. Sono piccoli eventi quelli che i personaggi attraversano. Una quotidianità opprimente a causa del rigore della stagione invernale e della mancanza di un’intesa comune forte, in grado di appianare conflitti e insoddisfazioni latenti. Si arriva anche a un epilogo aperto e possibilista, ma non è lì che il film trova il suo effettivo approdo. È negli sguardi dei bravissimi interpreti, nelle interferenze sonore, nei silenzi che pesano che Belon riesce a cogliere il malessere dei personaggi e a renderlo cinematografico. Di loro non sappiamo nulla, le loro motivazioni ci sfuggono, i loro desideri possiamo solo immaginarli, eppure le poche informazioni concorrono a formare un punto di vista preciso, attento a rendere palpabili interrogativi e ansie universali. Un’atmosfera tesa e minacciosa, che porta alla memoria la tensione familiare nella casa isolata di Wendigo di Larry Fessenden, e la capacità di spiazzare disattendendo le aspettative (la tragedia è nell’aria fin da subito, ma lì resta), sono il punto forte della regia di Belon. Qualche simbolo di troppo (l’incontro con il cavallo, il coniglio gestante) e la mancata connotazione sociale ed economica dei personaggi (di cosa vivono in campagna, visto che di soldi non si parla mai?) moderano l’empatia ma poco tolgono alla forza di due personaggi in cui è possibile confondersi.