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TRAMA
Edmond Burke potrebbe essere un uomo felice: un buon lavoro, una bella moglie, una vita agiata. Una sera la lettura dei tarocchi di un indovino lo turba. Tornato a casa, lasciata la moglie, comincia un viaggio notturno nelle strade della città.
RECENSIONI
Tratto da una piece di David Mamet del 1982 (portata sulla scena anche da Branagh) e adattata dal suo autore per lo schermo, Edmond è un film sulle paure e l’alienazione, sulla sfaccettata valenza dei timori dell’uomo medio. E’ proprio la paura che spinge il protagonista a perdersi, fuori orario, nella metropoli, ad acquistare un coltello che sarà la causa prima dei suoi guai e della caduta in un abisso di crescente abiezione. Maschilista, razzista, omofobo, Edmond, un uomo insicuro perché insoddisfatto, dopo aver sempre dissimulato queste tendenze, molla i freni inibitori e lascia che queste spadroneggino e diano vita a una escalation disastrosa. L’opera è a tratti un vero e proprio horror, un viaggio a tappe nell’inferno, che ha nel testo il suo punto di forza (Mamet è il più grande scrittore di dialoghi americano, altro che Elmore Leonard): il fiume di parole, come sempre nei lavori dello scrittore, tende a confondere o a velare, mai a chiarire, la verbalità del protagonista, inascoltata o incompresa, rispecchiando il terrore e coprendo la bramosia (come il finale sintetizza felicemente nella scena del bacio). L’intelligente regia di Stuart Gordon (noto regista di film dell’orrore, Re-Animator tra gli altri) aderisce seccamente al tema e fa parlare la sceneggiatura, la macchina da presa sta addosso agli attori (il giro mametiano: William H. Macy – superbo -, Joe Mantegna, Rebecca Pidgeon, moglie del drammaturgo) e le immagini di una città claustrofobica sono cupa cornice ai temi basilari della storia (ognuno coltiva una forma di razzismo, nascondiamo dietro il timore un’attrazione, la vita borghese è una pentola a pressione: il tutto espresso con la consueta brutalità, bando agli accenti predicatori o retorici): il film, secondo lo stesso canone cinematografico del Mamet regista, è abbarbicato alla sua struttura e non dà spazio se non a sequenze prettamente funzionali. In un mondo violento e lercio, il viaggio nella notte di Edmond si rivelerà, nei fatti, una tormentata e quasi catartica ricerca dell’amore. Dunque non sorprende che il protagonista trovi conforto e sicurezza nella peggiore delle condizioni, la prigione, dove alla fine il nostro vivrà, sereno, una relazione con il suo compagno di cella, nero.
Every fear hides a wish – David Mamet