Titolo OriginaleTrudno byt bogom
Anno Produzione2013
Genere
Durata177'
Sceneggiatura
Trattodall'omonimo romanzo di Arkadij e Boris StrugackijFotografia
Montaggio
Musiche
TRAMA
Un gruppo di scienziati viene inviato sul pianeta Arknar per salvare un gruppo di intellettuali e portare alla civiltà gli abitanti del luogo, fermi al medioevo.
RECENSIONI

Dev’esser stato più o meno lo stesso pensiero di Aleksey German, soprattutto se facciamo riferimento al sul ultimo film, È difficile essere un dio: opera postuma (il progetto è stato portato a termine dal figlio, Aleksej German jr., e da Svetlana Karmalita, sua compagna di sempre e collaboratrice anche nel coltivare i giovani talenti della Lenfil’m) tratto dall’omonimo apologo, cupo e pessimista (in cui vengono denunciati, in chiave distopica, gli orrori della dittatura e della repressione culturale), scritto dai fratelli Arkadij e Boris Strugackij, il duo cult della fantascienza sovietica, già autori del romanzo, Picnic sul ciglio della strada, da cui Andrej Tarkovskij ha liberamente tratto Stalker e di Un miliardo di anni prima della fine del mondo, racconto che ha ispirato I giorni dell’eclisse di Aleksandr Sokurov.

Un autentico delirio cosmogonico, una fracassonata iconoclasta che si realizza per mezzo di un horror vacui travolgente, soprattutto per il fatto che le tantissime cose appaiono sempre troppo vicine, come se lo sguardo non riuscisse mai a posizionarsi alla distanza ottimale. La costruzione che German fa dello spazio, e in questo ritroviamo l’influenza rohmeriana, contrasta, infatti, la struttura prospettica e l’idea che ne consegue di profondità come dislocazione tridimensionale di punti fissi e ordinati. La prospettiva, ci ha insegnato Erwin Panofsky, è una forma simbolica, un costrutto attraverso cui è stato possibile, dal Rinascimento in avanti, esprimere un’idea di spazio inteso come qualcosa di infinito, omogeneo e sistematico e quindi rappresentabile mediante regole geometrico-matematiche. German trovandosi a mettere in scena un ipotetico Medioevo sceglie perciò di adottare una rappresentazione prerinascimentale: da una spazialità certa, stabile, esattamente conoscibile e conosciuta, si passa a una spazialità incerta. Il lavoro compiuto sulle immagine si rispecchia a livello di organizzazione filmica: in È difficile essere un dio assistiamo alla perdita dell’interezza, della globalità, della sistematicità ordinata in cambio dell’instabilità, della polidimesionalità, della mutevolezza. Di fronte alla complessità, alla densità e alle ambizioni di quest’opera (che vuole essere ed è una sorta di palingenesi dell’esperienza cinematografica, un punto zero, una frattura netta che divide con un prima e un dopo) lo sguardo abitualmente adoperato si scopre disorientato e impreparato; del resto, come ha scritto Umberto Eco,: «È probabilmente difficile essere un Dio ma è altrettanto difficile essere uno spettatore, di fronte a questo terrorizzante film di German».
