Western

DUST – POLVERE

Titolo OriginaleDust
NazioneGran Bretagna/Germania/Italia/Macedonia
Anno Produzione2001
Genere
Durata127'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

New York, oggi: un’anziana signora promette un tesoro ad un giovane rapinatore di colore. Ad una condizione: il ragazzo dovrà ascoltarla raccontare la storia di due fratelli, cowboy e poi guerrieri nella Macedonia ribelle al Sultano turco, all’inizio del XX secolo…

RECENSIONI

L’opera seconda è notoriamente la maledizione di ogni regista: ciò è vero soprattutto nel caso in cui l’esordio sia stato un clamoroso successo di critica e pubblico. Ma non è solo questo: almeno in potenza, la seconda fatica di un artista dovrebbe, da un lato, ribadirne la Weltanschauung, dall’altro, arricchirla, dal punto di vista formale oltre che contenutistico.
Manchevski riesce a (d)eludere entrambe queste piste.
Vincitore del Leone d'oro a Venezia con "Prima della pioggia" e sostenuto da una coproduzione internazionale europea, il regista sceglie di non rischiare troppo e finisce per girare una specie di remake – frullato del suo premiato debutto: “Dust” ripropone, senza troppa inventiva, i vecchi temi della lotta fratricida, della circolarità delle umane vicende e del bisogno di raccontare storie come struttura portante del reale. Tutto questo rientra nel primo aspetto delineato, quello delle “conferme”: il problema è che, senza le “sorprese”, la rimasticatura non è un rischio, è un fatto.
Conscio di doversi dimostrare Autore laureato, il Nostro non si tira indietro, mescolando senza inibizioni (o decenza, la scelta del termine dipende dal grado di condiscendenza che gli si vuole accordare) commedia ammuffita (i siparietti dedicati alla nonnina terribile), serial televisivo (lo spacciatore nero), western classico e frusti giochetti metanarrativi. Lo sguardo asciutto, schematico, anche troppo ellittico di “Prima della pioggia” cede il passo ad una macedonia (sic) di stili, che non porta da nessuna parte ed appiattisce tutto (Joseph Fiennes, poi, è piatto di suo), finendo per ridurre il “poema cubista” raccontato agli intervistatori in un ritrattino cosparso di polvere, spiacevolmente soporifero.
In conclusione: luccicante, ma moscio.