TRAMA
Un uomo e una donna giungono alla stazione ferroviaria di un paesino rumeno. Ad attenderli c’è Frant Tandara, intenzionato a concedere loro un’intervista a proposito del suo antico lavoro di torturatore, svolto per tanti anni nelle carceri del Paese.
RECENSIONI
Teatro di crudeltà
Il Male del/nel quotidiano, ovvero, quando l’atrocità è routine, e il cattivo un travet in pensione, moderatamente soddisfatto della propria carriera. Attraverso l’intervista – confessione all’ex “funzionario statale”, Lucian Pintilie coglie il lato forse più atroce della vicenda: il protagonista non è stato, come vorrebbero all’inizio illudersi i suoi interlocutori, costretto ad intraprendere quella professione, ma si è trattato di una sua decisione. Decisione, verremo a sapere, certo dettata dai condizionamenti sociali e, prima ancora, familiari (il padre militare e violento), ma legata anche al piacere puro, istintivo, ricavato dalla sofferenza altrui.
Il passato non è idealizzato, in nessun senso: non ci sono deliri di onnipotenza, né angosciosi rimpianti, solo un lieve malessere, un peso oscuro, la consapevolezza che si deve morire. Intorno, la vita è sospesa, forse non è mai iniziata e mai avrà fine, almeno nell’accezione tradizionale del termine: la Storia è la compresenza di tutti i momenti, di tutti i luoghi, i fantasmi della memoria affollano fisicamente gli spazi dei vivi, le minacce esterne (il figlio teppista e i suoi minacciosi compagni) cingono d’assedio i personaggi ma non passano mai all’azione, la figura del cerchio (il prologo e l’epilogo, quasi del tutto simmetrici) riassume il carattere immutabile e beffardamente “perfetto” dell’universo.
Il registro scelto è quello del documentario, e il film risulta efficace nel suo continuo smorzare i toni, al fine di far emergere nel modo più semplice e “diretto” possibile la verità sui, ma prima ancora dei, personaggi. Ma le parentesi onirico – grottesche sono tante e tanto insistite da suonare noiose e dispersive rispetto al tema centrale, quello dell’intervista perennemente incompiuta. I dialoghi, quasi insostenibilmente scabri, e l’estrema concisione dell’azione avrebbero reso il copione più adatto al palcoscenico, o ad una messinscena meno indecisa nel realizzare “teatro filmato”. Impressionante la prova di Gheorghe Dinica.

La Mostruosità della Normalità
Romania ai giorni nostri: una giornalista e un ex-detenuto politico raggiungono in treno un piccolo paese dove ad aspettarli c'è Frant Tandara, ex-torturatore del regime comunista. Il loro compito è intervistarlo, ma non sarà così semplice.
L'uomo è disponibile e sembra volersi liberare attraverso le parole delle ombre del passato, ma prima un inceppo del registratore, poi il telefono che squilla sempre, l'arrivo del figlio rabbioso e la presenza della moglie, trasformeranno l'intervista in una farsa del dolore.
Il film di Lucian Pintilie permette di entrare nella psicologia di chi ha deliberatamente commesso atrocità. È un viaggio grottesco nella natura dell'uomo alle origini del male, basato sulla reale confessione di un vero torturatore, da cui il film ha tratto ispirazione. Quello che più colpisce del protagonista è la lucidità di alcuni momenti, in cui racconta episodi dettagliati, contrapposti ad altri dove i pensieri e lo sguardo fisso non riescono a tradursi in parole. Frant Tandara non mostra segni di pentimento. Lui provava piacere a torturare, era quello che sapeva fare e non esclude che potrebbe rifarlo. Attraverso la confessione può solo provare a prendere coscienza della sua natura, liberandosi dei fantasmi che lo inquietano. Fantasmi che, a causa del fallimento dell'intervista, rimarranno tali e continueranno a tormentarlo. Il film non rende per immagini le parole dell'uomo (se non alcuni brevi inserti), ma l'immaginario che stimolano si rivela più potente di una testimonianza visiva.
