Bellico, Recensione

DUNKIRK

Titolo OriginaleDunkirk
NazioneU.K., U.S.A. Olanda, Francia
Anno Produzione2017
Genere
Durata106'
Sceneggiatura
Montaggio

TRAMA

La storia dell’Operazione Dynamo, la miracolosa evacuazione navale dei soldati alleati circondati dall’esercito tedesco.

RECENSIONI

Una settimana, un giorno, un’ora, la stessa vicenda raccontata da tre punti di vista (anche) temporali diversi. Perché? Non è che sia chiarissimo, questa volta. Ovviamente, non sfugge a nessuno il fatto che la manipolazione narrativa del tempo sia un tratto caratteristico di Nolan. Così come la costruzione dei suoi congegni, il cui meccanismo e le cui finalità sono generalmente chiare fin dall’inizio: qui, le tre linee temporali sono destinate a convergere, certo, resta solo da vedere come. E, di nuovo, perché(?). Ci torneremo. Semplificando in maniera inaccettabile, comunque, in genere sono queste cose che si mangiano – in senso buono - i film di Nolan, altrimenti freddi dal punto di vista emotivo, un po’ goffi nella loro progressione drammatica e non esenti da cadute di stile di vario genere. Interstellar aveva parzialmente cambiato le carte in tavola, dopo che Inception le aveva scoperte. All’epoca scrissi che i fratelli Nolan sembravano intenzionati a dimostrare che non erano solo “abili costruttori di ingegnosi e disumani rompicapo ma anche storytellers capaci di emozionare. Di parlare col cuore in mano di Amore a tutti i livelli: amore paterno, amore per l’umanità, amore tradizional(ment)e romantico”. Riuscendoci a metà e partorendo “il gatto di Schrödinger del cinema di Nolan” ossia un film quantistico che esiste “contemporaneamente negli stati di Capolavoro e Boiata”. In un accesso di esecrabile egotismo, innescato da queste autocitazioni, arriverò a dire che Dunkirk mi ha dato ragione.

Christopher Nolan, cioè, qui cerca di girare il film della definitiva Maturità e dello Universal Acclaim. Abbandonati gli svolazzi più o meno fantascientifici di Inception e Interstellar(ma anche di The Prestige e della trilogia del Dark Knight), affronta la Storia raccontando una storia del tutto verosimile e lineare, nolanizzandola appena con un po’ di asincronia che però non trova una vera ragion d’essere. Ci si aspetta un incastro finale a orologeria, magari epifanico/agnitivo, che però non arriva, e il tutto si sgonfia progressivamente in una semplice e risaputa riproposizione dello stesso episodio vis(su)to da più angolazioni e un po’ di montaggio alla Griffith. Nolan, stavolta, si autocostringe a puntare tutto su altri suoi cavalli di battaglia, i meno solidi. Uno è l’aura da Film Evento, una certa grandeur illocalizzabile ma coestensiva al film, che sovente si scontra (uscendone però indenne) con degli scivoloni che spesso sanno di malcelata retorica (il personaggio di Branagh) e di ingenuità quasi da B-Movie (tutta la parte dei due soldati che corrono con la barella, passano sulla trave e poi si nascondono sotto il pontile senza che nessuno li noti). L’altro, per certi versi collegato al primo, è un costante accumulo di tensione, col solito Zimmer - e le sue iterazioni minimaliste glassiane - che si trova costretto a fare il lavoro sporco, ossia costruire e mantenere il pathos anche quando ci sarebbe poco di pathos-logico. Solo che stavolta al povero Hans si chiedono davvero gli straordinari, perché di rado si è sentita una colonna sonora così invasiva e incessante.
Un altro ancora è la capacità di azzeccare alcune sequenze a modo loro grandiose, che alimentano l’aura da filmone di cui sopra. Ora, Nolan non è un grande tecnico, le sue sequenze di azione pura hanno sempre un che di confuso e poco coerente, come se andasse storto qualcosa nei raccordi, e si trova più a suo agio nei territori del larger than life visivo, quando la sequenza ha tempo e modo di costruirsela a puntino. Si pensi all’incipit del terzo Dark Knight, o al pianeta pantalassico di Interstellar. Si tratta sempre di momenti preparati con (eccesso di) zelo, le cui intenzioni magniloquenti sono scoperte e palesi. Qui c’è la sequenza del bombardamento sulla spiaggia, col soldato a faccia in giù sulla sabbia, costruita sulla profondità di campo e sul progressivo avvicinarsi delle esplosioni. O quella del pontile, con l’esercito di elmetti e un unico soldato che si volta e solleva gli occhi al cielo. Sequenze sicuramente riuscite, come alcune di quelle della sezione aerea (benché ripetitive e un po’ starwars-ish), ma/perché molto studiate, scoperte, fredde, nolaniane. Micro-immagini simbolo da poster, emozioni liofilizzate, umanesimo da asporto. Tutta roba buona, per carità, ma un Nolan lineare che (finge di) punta(re) tutto sulle Emozioni e sui Sentimenti Umani (dei personaggi e degli spettatori), quasi purovisibilista, data la scarsità di dialoghi, è un Nolan auto-sotto-utilizzato. A mezzo servizio. E’ facile, e piacevole, cascarci, perché il risultato a casa ce lo porta lo stesso, in qualche modo. Ma è una specie di gradevole bluff.