
TRAMA
Anno 10991. Gli avidi Harkonnes contendono ai Fremen la supremazia sul pianeta Dune per il possesso della preziosissima “spezia” che dona straordinari poteri.
RECENSIONI
Parlare di Dune significa, inevitabilmente, parlare delle sue controverse vicende produttive: passato per le mani di Jodorowski (che pensava a un Dalì scenografo e attore), De Laurentiis pensa di affidare la riscrittura per immagini della saga di Herbert a David Lynch, reduce dal successo di Elephant man. Lynch, steso un adattamento arditissimo e poco commerciale, si trova di fronte a una macchina produttiva che finisce con lo schiacciarlo (Non mi sono mai sentito autorizzato ad appropriarmi del film. Per me è stata la rovina): ne esce una pellicola molto più breve di come era stata immaginata e la cui paternità il regista non rivendicherà mai, promettendo a se stesso di non cedere più alle lusinghe del Capitale e di girare sempre e solo con la garanzia di un director's cut. Il fascino visivo dell'opera, che si pregia della straordinaria e caravaggesca luce di Freddie Francis, non basta, quindi, a riscattare la sua sorte di film contratto, compresso, in cui il senso e la continuità della saga galattica latitano pericolosamente. Dune si rivela un pasticcio che, sprizzando fascino ad ogni scena - poichè l'autore non rinuncia a se stesso e marchia a fuoco ogni immagine - ha una narrazione fratta, una trama incomprensibile, uno svolgimento a dir poco farraginoso. Eppure... Eppure Dune, forse anche per l'epica vicenda che ne ha contraddistinto la lavorazione, è un film importante in cui Lynch, squarciando il velo del genere, non rinuncia al rivolgimento strutturale del narrato che caratterizza tanta parte della sua produzione e adopera senza misure la leva onirica sia pure su un sostrato che vorrebbe essere popolare. Scrive Ghezzi: "Tra simulazione e finzione (il dilemma in cui è preso tutto il cinema fantastico "di trucchi") Lynch, se mai inclinando alla finzione, sceglie però una sorprendente ingenuità hard. La forza del suo cinema, che afferma di essere vero". Indubbiamente da non perdere, se non altro come monito a ciò che sarebbe potuto essere, Dune è dunque il film malato di un regista malato, un ritratto di figure "immobile"e stupefacente che annega nella sua stessa grandiosità. Si parlò all'epoca di una versione più lunga (addirittura sei - sette ore ma il regista smentisce e parla solo di una copia lavoro mai montata), ma tutto quello che abbiamo è questo film e una versione televisiva di 190 minuti non riconosciuta. Il tema musicale principale è una chicca di Sua Maestà Brian Eno che fa sparire la chiassosa partitura degli inutili Toto.

Il testo di Frank Herbert (1965) non è solo fondamentale nel panorama letterario fantastico ma è stato anche la fonte d’ispirazione di molte pietre miliari cinematografiche, nel genere e non (vedi Guerre Stellari): olistico, abbraccia la tragedia greca e il misticismo orientale, la saga futurista e gli archetipi di tutti i racconti possibili. Facile capire perché attirasse tanto Alejandro Jodorowsky, con alle spalle una pre-produzione abortita: la produttrice Raffaella De Laurentiis, però, ha più in mente di realizzare un fanta-kitsch alla Flash Gordon e l’opera, in questo senso, non beneficia dell’apporto alla regia di David Lynch, dopo l’abbandono di Ridley Scott: la nuova promessa del cinema “di genere” autorale ha, in seguito, ammesso di aver accettato molti compromessi per andare incontro alla produzione e sapeva, fin dall’inizio, di essere sprovvisto del ‘final cut’, da cui infatti fu estromesso per rimaneggiare il girato e ridurre la durata. Inutile andare alla ricerca di un fantomatico director’s cut (che non è la versione DVD extended di 189’, firmata Alan Smithee), nel momento in cui per lo stesso Lynch è irrimediabilmente irrisolto, con una versione varata dalla produzione che è “Quanto di meglio se ne potesse ricavare”. La sceneggiatura originale, lontanissima da Herbert nello spirito più che nelle vicende, e gran parte delle scenografie (per ottenere un look specifico) sono firmate da Lynch stesso, ma il risultato finale ha un ritmo fiacco, accostamenti pasticciati e, per quanto contenga sequenze degne di nota (su tutte la ferocia con cui viene dipinto il pervertito barone Harkonnen), anche figurativamente si subisce al contempo il fascino della visionarietà e il fastidio della pacchianeria, involontaria e non. Flop da 40 milioni di dollari (tre anni di lavorazione, 75 set, migliaia di costumi creati ex-novo) e lezione per Lynch che, da lì in poi, vorrà sempre l’ultima parola sulle sue creature.
