Drammatico, Netflix

DUE DONNE – PASSING

Titolo OriginalePassing
NazioneU.K., U.S.A.
Anno Produzione2021
Durata98'
Sceneggiatura
Tratto daPassing di Nella Larsen
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Nella New York degli anni 20, la vita di una donna di colore viene sconvolta quando la sua storia si intreccia con quella di una vecchia amica d’infanzia che nasconde le sue vere origini.

RECENSIONI

Irene è una donna afroamericana che vive ad Harlem, New York, alla fine degli anni Venti. Si considera una donna felice. È sposata con un medico benestante ed è madre di due figli. Un giorno si imbatte in una vecchia conoscenza, Clare, e la sua vita ne viene profondamente sconvolta. Clare applica infatti, giorno dopo giorno, in segreto, la pratica del passing. È una donna di colore, ma la sua carnagione chiara fa sì che possa confondersi con i bianchi. È infatti sposata con un bianco, enormemente razzista, il quale non ha idea che la moglie è in realtà una di quei neri che tanto disprezza. L’incontro fra le due donne innesca un gioco ambiguo di attrazione e repulsione: Clare prova nostalgia per la nera Harlem e il mondo che ha rinnegato; Irene cova forse una gelosia sotterranea per il percorso di vita dell’amica e ne teme il fascino. Tratto dal romanzo omonimo di Nella Larsen, Due donne – Passing battezza l’esordio alla regia di Rebecca Hall, attrice britannica dal curriculum poliedrico, fra Woody Allen (Vicky Cristina Barcelona), Patrice Leconte (Una promessa), l’indie americano (Christine) e il cinema commerciale hollywoodiano (Iron Man 3). Hall debutta dietro alla macchina da presa ponendo subito molto in alto l’asticella dell’ambizione. Un film d’epoca ma che affronta tematiche razziali di urgenza contemporanea, una storia di inquietudini identitarie e appartenenza contestata. Un film sulle apparenze e sulla perfomance. La recita del proprio ruolo sociale oltre le limitazioni del sangue e degli schematismi imposti (e l’ostracismo, il razzismo, le dinamiche di esclusione che ne conseguono), sul crinale etico fra libertà di scelta del proprio destino (essere chi si vuole? Farsi accettare, sacrificarsi sull’altare della cultura dominante?) e diniego delle proprie origini (personali, e quindi della lotta di un’intera comunità). Una performance che incendia la confusione: Irene non riconosce Clare di primo acchito e questa lotta percettiva, condotta sia tramite i sensi (la vista) che la mente (i nostri pregiudizi razziali), si riverbera lunga il corso di una storia che non nasconde le proprie intenzioni hitchcockiane. Irene diventa il doppio di Clare. L’una si riflette nell’altra, creando una sensualità anche prevedibile (chiare le suggestioni omoerotiche fra le due), ma nel gioco degli specchi le immagini che si formano continuano a negarsi a vicenda: una moglie devota contro una donna fieramente indipendente, il bianco contro il nero. Materia incandescente e abissalmente complessa, che Hall gestisce con intelligenza optando per una secchezza che esclude il sentimentalismo, pur lasciando affiorare una muta tenerezza. Ma è proprio la studiata eleganza di questa messa in scena che finisce per soffocare il film in una rigidità teatrale che sottolinea più che suggerire, a partire dalla scelta troppo didascalica di un bianco e nero esasperato, un contrasto cromatico che insiste continuamente su tutto ciò che abbiamo già capito. Forse troppo per un’opera prima (questa opera prima), ma Hall si mantiene comunque salda al timone, non deraglia, ma neppure convince appieno.