TRAMA
1971, Portland: due coppie di giovani tossicodipendenti passano le giornate a rubare per comprare la materia prima con cui farsi nei drugstore. Un poliziotto è sulle tracce del “capobanda”.
RECENSIONI
“Un ladro tossicomane e la sua mogliettina ninfomane”, così definisce la coppia di Bonnie e Clyde la madre di uno dei protagonisti: non solo la vita reale è insopportabile, tanto da preferirle una fuga chimica, ma la comunità addita come reietti i drogati. William Burroughs, scrittore-idolo della beat generation, speciale guest star nel ruolo di un ex-prete tossicodipendente (filosofia esistenziale più ribellione alle convenzioni: quale ruolo migliore), inveisce contro la demonizzazione delle droghe operata sistematicamente dalla “destra”. Il regista-rivelazione Gus Van Sant, da sempre immerso nei miti e negli stilemi della controcultura, trae questo racconto dall’autobiografia inedita del detenuto James Fogle, cambia il finale, inserisce nella diegesi soggettive in “trip” (soldatini, cappelli, cavalli, mucche sospese in aria) rivelando una poetica originale che, per quanto priva di un piglio figurativo-surreale sorprendente, è capace di essere al contempo cruda, realistica e sognante: soprattutto, trova il tono giusto, astenendosi da giudizi e retorica pro o contro l’uso degli stupefacenti. Il quadro che vuole restituire è quello di un circolo vizioso per cui, alla ricerca di una dimensione esistenziale “migliore”, in cui si ha il controllo delle proprie sensazioni per almeno cinque minuti, paradossalmente la vita si fa ancor più dura. Impossibile non appassionarsi alle vicende di questo cowboy moderno (Matt Dillon), archetipo del ribelle idealista che, anziché rapinare banche, assalta le farmacie, che ha un rapporto d’amore/odio con lo sceriffo/Pat Garrett di turno, che è patologicamente superstizioso e che arriva a convincere anche noi dell’esistenza di forze occulte che determinano periodi fortunati o di iella. Per Matt Dillon il film della rinascita artistica. Superlativa anche Kelly Lynch.