TRAMA
Accortosi che la moglie lo tradisce, Tae-han, un incisore di sigilli proveniente dal piccolo centro di Naksan, si reca a Seoul per intercettare Jung-shik, l’amante della consorte che col suo taxi si sta dirigendo proprio a Naksan per un appuntamento clandestino con la donna. Durante il viaggio coast to coast i due avranno modo di conoscersi e, complice un caldo torrido e intollerabile, condividere alcune bizzarre esperienze. Ma una volta arrivati nella località di mare…
RECENSIONI
Bizzarro, stravagante, giocosamente sconclusionato, “Driving with My Wife’s Lover” mette in scena il consueto conflitto tra amore coniugale, infedeltà, gelosia e desiderio di vendetta che, nelle sue infinite varianti combinatorie, abbiamo visto decine e decine di volte sul grande schermo. Ciononostante quello che rende decisamente singolare e degno di nota il lungometraggio d’esordio di Kim Tai-sik è il trattamento narrativo di una materia apparentemente logora: su una sceneggiatura imperniata sulle omissioni e sulle rivelazioni graduali, il cineasta quarantottenne dispiega tutta una serie di eventi paradossali che traggono il massimo profitto dal progressivo accumulo di informazioni, dalla stringente unità di tempo (la maggior parte della vicenda si svolge nell’arco di tre giorni) e dalla vivace interazione con gli ambienti attraversati (l’insopportabile calura estiva obbliga i due uomini a numerose fermate fuori programma). In questo percorso accidentato e divagante, il mesto Tae-han (Park Kwang-jung in una prova da incorniciare) e l’esuberante Jung-shik (Jeong Bo-seok, smargiasso al punto giusto) stabiliscono inevitabilmente un rapporto empatico che complica la situazione di partenza, senza peraltro allentare la tensione emotiva che caratterizza i loro scambi (intensificata dalla tremenda ondata di caldo). Ad una prima parte di impronta eccentricamente on the road, costellata di gag strampalatissime tra cui un’inspiegabile valanga di cocomeri, segue una seconda sezione in cui le tensioni accumulate possono finalmente esplodere: Tae-han esce allo scoperto e ribalta inaspettatamente la vicenda, ripagando Jung-shik con la stessa moneta. Ma anche in questo secondo segmento la scrittura di Kim, autore dello script oltre che della regia, gioca abilmente sulle ellissi e sulle interruzioni improvvise, lasciando in sospeso fino all’ultimo questioni di cruciale importanza e concedendo invece largo spazio alla delicata relazione che si crea tra Tae-han e So-ok (la splendida Jo Eun-ji), la moglie tradita di Jung-shik: una parentesi di tenerezza tanto improbabile quanto toccante. Visivamente Kim sciorina un’inventiva stupefacente: anziché calarsi nelle formule espanse e durative del road movie, frantuma la visione in una successione di quadri sconnessi e slegati tra di loro, dando al dettato filmico una sintassi gioiosamente spiazzante. Impostazione, questa, che rivela l’impianto fumettistico del film, ravvisabile non soltanto nella concatenazione delle inquadrature, impaginate come fossero vignette di una graphic novel, ma anche nella composizione puntuale delle immagini, talvolta architettate in modo tale da includere figure statiche in spazi statici, a sfruttare al meglio gli effetti di comicità nonsense e deadpan generati dall’incongruenza dei passaggi visivi. E a fugare ogni dubbio sulla fantasia ottica di Kim, nei primi quindici minuti di film, fa addirittura la sua comparsa la soggettiva di un gallo. Cameo logorroico di Oh Dal-su nei panni di un taxista che funge da contrappasso per Jung-Shik ed epilogo “zoologico” che riecheggia Buñuel (“Il fantasma della libertà”) e Herzog (“La ballata di Stroszek”) in un bianco e nero freddamente, sarcasticamente invernale. Senza facili scappatoie o moralismi d’accatto.
