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TRAMA
Jin si sveglia dopo aver sognato un incidente stradale. I dettagli di quell’incubo lo portano nel luogo preciso dove assiste alle conseguenze di un reale incidente.
RECENSIONI
Con Dream Kim Ki-duk si riaggancia a quell'elemento metafisico che sempre, sottilmente, ha pervaso la sua opera, soprattutto l'ultima, costruendo un mèlo allucinato in cui i protagonisti riescono a dare sostanza al proprio desiderio come al proprio disgusto inconscio. Il film crea dunque suggestive simmetrie tra mondo reale e mondo onirico, raccontando di due personaggi speculari, due creature che stanno vivendo l'abbandono come una condizione esistenziale a sé stante e che in questa parallela dimensione semiluttuosa si incrociano e che di tale mondo a parte fatalmente restano imprigionati.
E' una storia di solitudini (come nel precedente, Soffio) e di cannibalismo sentimentale che non indulge a nessun tentativo di decodifica psicologica, rimanendo tutta la riflessione sul piano della superficie apparente e della pura rappresentazione visiva. Il racconto si esplica secondo dinamiche che, ancora una volta, forzano i confini della natura umana: i due giovani devono resistere, evitare di dormire contemporaneamente, e questa lotta alla necessità del sonno si esplica in forme autolesionistiche estreme che esplicitano un istinto primario alla violenza, tema sempre caro all'autore. Jin allora diventa una sorta di Cristo che si auotocrocifigge, sacrificandosi per il bene della donna con la quale vive l'esperienza di gemellaggio interiore.
Il regista inserendo elementi nuovi e non del tutti convincenti (la scena forzatamente simbolica che confonde i quattro termini delle relazioni in gioco in un forsennato ed esasperato gioco di cambi di ruolo) su una base invece pienamente riconoscibile, continua ostinato il suo percorso di stramberie calcolate e, se non è esplosivo come agli esordi, anche in questo Dream - e le ultime opere (se si eccettua il mediocre L'arco) ce lo testimoniano - continua ad avere un suo occhio peculiare, una poetica originale nella quale si muove ancora con grande disinvoltura, in cui l'abiezione regna accanto alla lotta per contrastarla (un mondo personale che si rivela metafora facilmente decrittabile della società coreana), che vive di proprie regole, colori inconfondibili, atmosfere ed elementi che ne definiscono con esattezza l'identità. In tal senso il finale della farfallina, di mieloso simbolismo, è una sorta di firma in calce al lavoro. E lo si accetta volentieri in questa chiave.
