Drammatico

DRAGONFLY EYES

Titolo OriginaleQing ting zhi yan
NazioneCina
Anno Produzione2017
Durata81'

TRAMA

Ognuno di noi viene ripreso in media 300 volte al giorno da telecamere di sorveglianza. Lo stesso accade a una giovane donna di nome Qing Ting quando lascia il tempio buddista che frequentava per diventare suora e torna nel mondo secolare

RECENSIONI

Coronato dalla fondazione John D. And Catherine T. MacArthur nel 1999, Xu Bing è uno dei più importanti artisti cinesi contemporanei. Le sue installazioni vertono spesso sul rapporto fra potere e linguaggio, mettendo in discussione le tensioni fra il passato della propria cultura e i modi in cui l’eredità di questa riverbera nel presente. Famosi sono i suoi progetti con il tabacco, utilizzato come materia plastica (olfattiva e tattile) e come messaggio politico, così come i suoi libri d’artista e i suoi eleganti sforzi calligrafici. I frequentatori della Biennale d’Arte di Venezia ricorderanno gli uccelli Feng e Huang, enormi sculture realizzate con materiali di recupero ed esibiti nelle Gaggiandre dell’Arsenale vecchio nel 2015. Dragonfly Eyes è il debutto nella videoarte di Xu, che confeziona un lungometraggio usando esclusivamente videocamere di sorveglianza e webcam. O meglio, Xu scolpisce la sua storia partendo dal materiale grezzo, ovvero dall’incessante, continuo girato prodotto da questa tecnologia voyeuristica per definizione. L’artista immagina una vicenda che parte da un tempio buddista, dove la protagonista Qing Ting (il cui nome significa “libellula”) decide di voltare le spalle alla prospettiva di una vita dedicata alla preghiera. Ritornata nel mondo secolare, la donna trova impiego presso un’azienda agricola bovina altamente meccanizzata. Presto, il giovane Ke Fan si innamora di Qing Ting, ma il temperamento violento e la sua passione sfrenata per la collega lo portano a commettere azioni violente. Dopo l’incarceramento di Ke Fan, Qing Ting scompare. Uscito di galera, Ke Fan si convince the Qing Ting si sia rivolta a una clinica di chirurgia plastica che ne avrebbe cambiato l’aspetto, e che questa sia poi diventata una bellissima star di Youtube. Quando, in seguito alle pressioni negative dei suoi fan, la ragazza si suicida buttandosi da un ponte, Ke Fan decide di trasformarsi in Qing Ting lui stesso. Xu utilizza una voce robotica per guidarci attraverso il materiale più disparato, stabilendo fin dal principio la dimensione profondamente tragica della nostra capacità di vedere tutto, ma di essere costantemente distratti. La prima sequenza, infatti, ritrae una giovane donna che, sguardo incollato al cellulare, passeggia ignara oltre il limite di una banchina e si tuffa involontariamente nell’acqua. Da principio pensiamo che sia uno degli intercambiabili “fail” video che popolano le bacheche dei nostri social media, e la gag quasi ci strappa una risata. Però il taglio alla clip seguente non arriva, e siamo invece costretti ad assistere, impotenti, alla morte della ragazza per annegamento. Solo verso la fine del film, quando la storia arriva al tragico suicidio della cantante da chat room, ci accorgiamo che l’incipit di Dragonfly Eyes è in realtà un’agghiacciante prolessi. Dichiaratamente ispiratosi a The Truman Show (Peter Weir, 1999), Xu ne rovescia la premessa, rimpiazzando la singolarità di Truman con la pluralità di Qing Ting e Ke Fan. La narrazione si basa quindi su un processo di selezione e accumulazione: ogni donna può essere Qing Ting, e ogni uomo può essere Ke Fan. Proprio per questo l’impatto emotivo del film non è ancorato alla storia o alla recitazione, ma alla capacità di vedere, come una libellula, attraverso un mosaico di immagini. Xu non condanna la tecnologia di per se stessa, ma ne interroga la capacità di desensibilizzare il vedente, e la conseguente inabilità di percepire in profondità, al di sotto della sfera del visibile. La soluzione, forse, sta nello spostare l’accento sulla collettività, accettando lo scrutinino costante della moltitudine di occhi meccanici non come sorveglianza, ma come relazione fra due parti il cui potere di interpretazione è, necessariamente, condiviso.