Azione, Criminale, Drammatico, Poliziesco

DRAGGED ACROSS CONCRETE

TRAMA

Un uomo li ha ripresi col cellulare mentre arrestavano un malvivente, documentando i loro metodi. Il video arriva ai media, e così gli agenti Brett Ridgeman e Anthony Lurasetti vengono sospesi dal servizio. Problemi familiari ed economici li porteranno a fare una scelta che li trascinerà in un abisso…

RECENSIONI


È uno dei maggiori documentaristi d’America oggi, S.Craig Zahler. E lo è senza documentario, lo è attraverso la fiction, il genere. Il genere (o quel che ne resta, quel che può diventare, quel che tradisce) è, per il regista già romanziere e musicista, che ha compreso bene il cinema di Carpenter, la forma più radicale di saggio sulla contemporaneità. Dragged Across Concrete, Fuori Concorso a Venezia 2018, arriva immediatamente dopo Cell Block 99 e sembra l’unico aggiornamento possibile, l’unica versione “moderna” plausibile di Bone Tomahawk. Dal western horror del film d’esordio, dunque, a questo western metropolitano che si sospende, e si perde, e culmina, nella notte di un’anonima periferia polverosa, lontana da tutto, dalla città, dagli affetti, dal senso. Un western odierno, perciò fuori tempo. Un poliziesco che guarda a Walter Hill tramite Antonioni, cinema classico in un tempo che lo ignora. Una sintesi strana eppure perfettamente coerente, da Scorsese a Refn, e molto, molto zahleriana. In Dragged Across Concrete, sceneggiatura scritta e riscritta decine di volte e ultimata nel 2016 dal regista, maniacale cineasta che disorienta lo spettatore non per confonderlo ma per interrogarlo, la decomposizione morale Usa è racconto in sottrazione, è una forma cristallizzata, è una tragedia senza il tragico, un action movie senza azione. Un cinema in cui la dialettica tra realtà e personaggi è sempre inevitabile, stringente, improcrastinabile, ma anche fatta di scarti, di vuoti, di prospettive spettatoriali depotenziate. Soprattutto, non sono mai i personaggi a mettere in crisi la realtà, è lei che lo fa con loro, fino alla fine. Sono essenziali, trasparenti, i protagonisti di questo cinema, ancor più lo sono i poliziotti di Dragged Across Concrete, Brett Ridgeman (Mel Gibson, i cui baffi, come per Kurt Russell in Bone Tomahawk, sono un segno, impronta ulteriore) e Anthony Lurasetti (Vince Vaughn), straordinariamente elementari, nitidi, immediati. Il primo è arrivato a quasi sessant’anni senza uno straccio di promozione, ha una moglie ex poliziotta con grossi problemi di salute e una figlia bullizzata. Il secondo, molto più giovane del collega, è alle prese con un amore che forse sente solo lui davvero e che vorrebbe coronare col matrimonio. Ma il film inizia da Henry Johns (Tory Kittles) - afroamericano appena uscito di galera, un fratellino sulla sedia a rotelle bravissimo coi videogames e una madre che durante l’assenza del figlio maggiore si è prostituita per mandare avanti la baracca - e a lui infine ritorna.

Zahler, efficacissimo direttore d’attori, intreccia le traiettorie dei personaggi lentamente, dilata, rallenta, ritarda tutto, la tensione diventa estensione, l’inseguimento diventa un teatro da camera noir on the road, i criminali sono crudeli maschere violente senza carattere, senza motivazione, senza volto (tranne quello dii Thomas Kretschmann); la rapina in banca - spartiacque narrativo del film - è paradossalmente, o forse no, zahlerianamente no, il momento più rapido, risolto, del racconto, quasi la sua ellissi, straordinariamente anticipato dalla sequenza che ci presenta il personaggio  interpretato da Jennifer Carpenter, neomamma che non riesce a separarsi dal suo bambino per tornare al lavoro dopo mesi d’assenza.
Film molto materico che però comprime l’effetto, lo spettacolo, i codici; dialoghi stretti e affilati, regia e humour sottili, millimetrici ma sempre di prima mano, mai citazionisti; risposte mai certe, solo ipotesi - come quelle di Brett Ridgeman - in percentuali: di successo, sconfitta, probabilità. Di salvezza o di morte.  Film allucinato e cupo, antiemotivo ma per nulla freddo, una trama da un tweet che si espande in atmosfera, in attesa; il set come ulteriore riscrittura: la violenza qui è semantica, il poliziesco è campo estetico ma nulla è gratuito, esibito. Nemmeno che si tratti del film più limpidamente politico di Zahler, perché senza mostrarlo, dicendo d’altro, è proprio un’opera sullo sguardo oggi, sul vedere. Sull’illusione di farlo, di comprendere, di dare forma al caos.