TRAMA
Martino, guardiano notturno della Mole Antonelliana, il Museo del cinema, si innamora di Amanda, la commessa di un fast food che vive nel quartiere popolare della Falchera. Il caso porterà la ragazza a rifugiarsi nella Mole per un paio di notti consentendo a Martino di conoscerla e di dichiararsi, ma…
RECENSIONI
Dopo mezzanotte è progetto nel quale Ferrario ha creduto molto al punto che, di fronte al nicchiare dei vari produttori ai quali si era rivolto per realizzarlo, ha deciso di finanziarlo di persona: la visita alla Mole Antonelliana (il Museo Nazionale del Cinema, a Torino) lo folgora al punto da fargli decidere di ambientarci questa storia che, presentata a Berlino (la sezione era il Forum), piace tanto al pubblico, acchiappa un paio di premi, trova dei Paesi acquirenti, un distributore italiano (la Medusa berlusconiana, il che fa ridere pensando a una delle ultime scene - che non rivelerò -) e che conosce, dunque, la legittima uscita nelle sale. Come ha giustamente sottolineato l'autore in occasione dell'anteprima, questo film, anche se potrebbe averne l'aria, non è né vuol essere uno spot del capoluogo piemontese (e sulla Torino da cartolina cinematografica - anche qui Le Luci d'Artista natalizie conferiscono un surplus di suggestione - rileggersi anche Garella sul film di Ponti AR) ma un atto d'amore sincero nei confronti di una città e di uno dei suoi luoghi chiave, luogo che, per la sua attuale destinazione, risulta particolarmente pregno di riferimenti e significati, elevando tutta l'operazione a una riflessione sul cinema e sul suo potere fascinatorio. Rinunciando alle sue consuete spigolosità e privilegiando, in leggerezza, un registro agrodolce, Ferrario, che lavora molto di camera a mano facendo leva sulle luci e le ombre del mondo notturno che ha scelto di ritrarre, alterna alcuni spezzoni di memorabilia in celluloide alle sue immagini in alta definizione (con un procedimento di rispecchiamento che fa ripensare all'ultimo Bertolucci) e insegue, citando con svagatezza, solo a tratti contagiosa, il suo protagonista keatoniano (un Giorgio Pasotti volenteroso ma fuori parte), una figura femminile che gioca a tormentarsi (la brava Francesca Inaudi) e un avversario amoroso cui mal incoglie (Fabio Troiano, il più convincente del trio). Girato dentro e fuori della Mole, con alcune scene ambientate alla Falchera, il film, se non mi pare giustificare certi entusiasmi - l'autore sottolineando in eccesso il risvolto favolistico (si pensi alla costante voce off di Silvio Orlando, che ritorcendo spesso il narrato su stesso, non calibra la lettura meta in secondo grado) e tirando l'ameno ma inconsistente 'fattariello' un po' troppo per le lunghe -, ha dalla sua, d'altra parte, una tenerezza mai consolatoria, un discreto piglio che schiva a dovere ogni seriosità e un divertito uso dei rimandi (si pensi all'arguto utilizzo delle didascalie, ai frequenti paralleli con esempi della storia della Settima Arte, all'inevitabile riferimento a Jules e Jim etc). Apparizione speciale di Alberto Barbera nella parte (?) del direttore del museo.
E' l'amore per il cinema ad illuminare l'ultima fatica di Davide Ferrario. Fatica perche' le difficolta' produttive hanno spinto il regista ad autofinanziarsi e a girare a budget limitato sfruttando l'agilita' del supporto digitale. E amore perche' tutto il film, al di la' della storiellina che lo tiene precariamente in piedi, e' un omaggio sentito e convincente alla Settima Arte. Un po' come il Bertolucci di "The Dreamers", Ferrario non si accontenta di infarcire la sua opera di immagini del passato, ma si preoccupa di rendere le citazioni vive e comunicative. Non una mera operazione nostalgica, quindi, nessuno scontato piangersi addosso, ma un vero e proprio atto d'amore nei confronti di quel luogo in cui tutto e' possibile pur restando seduti: la sala cinematografica. Il protagonista si costruisce il suo cinema personale nei locali suggestivi della Mole Antonelliana, prestigiosa sede del Museo dl Cinema. E' il custode notturno e quando calano le tenebre, mentre tutti la' fuori si dimenano intorno ad un perche', trova rifugio nei film, che proietta per se stesso, unico spettatore della sua solitudine e del suo sogno. E' questa idea romantica a sostenere il film, ma nonostante una piacevole grazia d'insieme si sente la mancanza di una visione armonica, in grado di conciliare l'incanto delle intenzioni con la concretezza delle situazioni messe in scena. Situazioni che il piu' delle volte si risolvono nella superficialita', senza accendere la favola fino in fondo. Alcune trovate funzionano (davvero riuscito il cortometraggio girato dal protagonista), altre stridono (le gag fisiche alla Buster Keaton), altre ancora banalizzano (la geometria affettiva) o risultano inutili (la vincita alla Lotteria). Discorso a parte per la voce fuori campo di Silvio Orlando: inizia conferendo verve e simpatia al racconto, ma finisce per sostituirsi alle immagini esplicitando cio' che la successione dei fotogrammi e' gia' in grado di esprimere. Tra dialoghi spigliati, personaggi un po' schematici, psicologie embrionali, sequenze irresistibili (le pillole di saggezza del cugino), attori che stanno al gioco e una Torino inconsueta nel fulgore delle luci di Natale, il film scivola leggero seguendo il percorso ad ostacoli della sgangherata sceneggiatura e conquistando il pubblico, pur nel suo disequilibrio, grazie a una dote non comune: il tocco gentile.