Horror, Recensione

DOMINION: PREQUEL TO THE EXORCIST

NazioneU.S.A.
Anno Produzione2005
Genere
Durata117'

TRAMA

Padre Merrin in Africa dopo la Seconda Guerra Mondiale si dedica all’archeologia: il male conosciuto durante il conflitto però non è placato e torna perseguitarlo.

RECENSIONI

Dominion è un prequel de L'Esorcista di Friedkin e, togliamo subito il campo, le vicende produttive d gran lunga sopravanzano l'interesse ed il valore complessivo dell'opera. Quando Schrader -dopo un lunghissimo travaglio per trovare un regsita adatto- fu incaricato di mettere a punto questo antecedente la curiosità fu difficile da reprimere; noto come sceneggiatore e regista, semplifichiamo, di profondi conflitti individuali con dominanti interrogativi etici (Lo Spacciatore, Affliction, Forever Mine, Autofocus,) per la prima volta avrebbe avuto a disposizione un grosso budget ed una notevole visibiltà. Al momento della presentazione alla casa produttrice di un rough cut, però, dopo un anno tra pre-produzione e tournage vero e proprio, il parere della Morgan creek (Warner) fu inequivocabilmente sfavorevole. Schrader fu allontanato, al suo posto, con il medesimo staff tecnico ed artistico, si insediò Renny Harlin, maestro, a modo suo, di action thriller non proprio superficiali. Ma di tutt'altra, poco ma sicuro. Il risultato fu Esorcista – La genesi, fortunato abbastanza da finire economicamente in pari (sorvolando sulla questione dell'home video). L'insoddisfazione crebbe, e Schrader fu ripescato per portare a termine il suo Esorcista. Dominion, per l'appunto. Le differenze tra i due lavori sono notevoli e meriterebbero una analisi approfondita, ottima per mettere in risalto le funzioni che si innescano durante una produzione e, soprattutto, il carattere di personaggi così lontani. Da parte di Schrader, soprattutto, si riscontra una tensione ideale netta -di contro ad una ricerca di una fisicità stilizzata tipica di Harlin- in favore dei tormenti dell'anima di Lankester Merrin, siamo piuttosto lontani dalla tendenza contemporanea della ricerca dello spavento. La lenta costruzione delle dinamiche intercaratteriali, la strutturazione di un discorso sul potere, la raffigurazione del male nelle sue varietà più infide oltre ad un soggiacente percorso tematico connesso con la memoria dovrebbero sostenere l'intero impianto schraderiano che però, per evidenti manchevolezze materiali, rimane abbozzato, stretto in una indecisione continua circa le opzioni di messa in scena finendo con l'imporre un che di grottesco laddove si poteva nascondere un nucleo ideologico concettuale. A smontare tutto quanto contribuiscono di certo gli effetti speciali sgangherati (il demone in versione Buddha, le iene) ed una post-produzione appena accennata di cui fa le spese la continuità (e la continuity) sempre incerta. Non poche scelte teoriche, di messa in scena e battute dialogiche rimandano direttamente al Signore del Male di Carpenter e, soprattutto, mi si perdonerà, al misconosciuto (non necessariamente un male) The Keep – La Fortezza di M. Mann