Azione

DOBERMANN

Titolo OriginaleDobermann
NazioneFrancia
Anno Produzione1997
Genere
Durata105'

TRAMA

Una banda di criminali cattivissimi e senza ritegno per niente e per nessuno sfida un poliziotto sadico che da loro la caccia. Il leader della banda è Dobermann, un ladro (interpretato da Vincent Cassel) accompagnato dalla fidanzata bellissima e sordomuta (Monica Bellucci).

RECENSIONI

Semplicemente atroce. Un film insopportabile ed esemplare perché raccoglie in sé l'essenza di un'estetica (?) cinematografica (??) che tende ad annullare in pochi secondi le distanze con quella più schifosamente televisiva e giovanilista. Dobermann sembra essere più che un film una scheggia impazzita di un qualsiasi (brutto) videoclip rumoroso e frastornante, uno spot prolungato che cela dietro al caos e alla velocità la totale assenza di contenuti, un susseguirsi martellante e schizoide di immagini ad effetto che forse nella diabolica mente di Kounen dovrebbero provocare qualcosa o qualcuno ma che invece ridicolizzano presto il suo prodotto mettendone in mostra la totale nullità. Dobermann non riesce nemmeno per un momento a discostarsi dalla sua origine fumettistica (il disegnatore Joel Hussin, autore del fumetto da cui è tratto il film, è anche sceneggiatore) entrando anche solo per un attimo in una vagamente cinematografica, e Kounen peraltro non sembra avere nessun interesse in proposito dal momento che per lui probabilmente la differenza tra le due cose non è nemmeno percettibile.
Kounen deve addossarsi svariate colpe, oltre a quella di essersi permesso di presentare impunemente davanti a un pubblico un prodotto di tale insulsa fattura deve rispondere dell'aggravante di averlo fatto in totale cattiva fede cercando di sfruttare biecamente, senza aggiungerci un minimo di materia cerebrale, uno dei trend del momento, elargendo a piene mani proiettili, sangue, inseguimenti e volgarità, il tutto scartavetrato con quel tocco di finta irriverenza che ormai basta a dare credibilità a chiunque. Come se non bastasse a un certo punto ci si trova di fronte a una sequenza agghiacciante, forse la più celebre del film, nella quale uno dei protagonisti dopo aver defecato nella Senna trova per terra una copia dei Cahiers du Cinema e ci si pulisce (che cosa dovremmo fare allora noi con la pellicola di questo film?). Una dichiarazione d'intenti che mette in mostra tutto lo squallore e la piccolezza di un regista che, anche ideologicamente, come pochi altri ha funestato il panorama cinematografico europeo degli ultimi anni. Impossibile non citare una frase di Paolo Mereghetti: "In confronto Luc Besson è Ingmar Bergman".

Modi di ripresa e montaggio vorticosi, stilemi da spot e videoclip, effetti sonori ed esplosioni spettacolari, split screen, molti primissimi piani, associazioni bizzarre (bello il raccordo fra “il battesimo della pistola” e Dobermann adulto), schizzo dei caratteri fra l'epico e il grottesco (la fonte è un fumetto), più sangue, violenza, sesso, sadismi (la granata che esplode nel casco del poliziotto), squallore fino allo straniamento. Pulp più alla Roger Avary che alla Tarantino: l’opera, infatti, condivide trama e intenti con Killing Zoe, passando dal Gangster Story moderno, Assassini Nati, per la coppia criminale. L'esordio nel lungometraggio dell’olandese Kounen, però, ha anche una marcia in più, non è solo un film alla moda: il suo talento visionario/figurativo è invidiabile, la tecnica e l'inventiva si uniscono per sequenze d'adrenalina pura, ma ci sono doti notevoli anche nel modo di raccontare (i silenzi per la soggettiva della sordomuta…), nel momento in cui la ferocia è talmente inusuale, all'eccesso, da trasformarsi in cinico gioco divertito, in grido ludico di vendetta lanciato dai suoi antieroi, disillusi dalla natura della società e dell'animo umano. A partire dalla sequenza d’apertura in cui il dobermann digitale piscia sui titoli di testa, passando per tanti dialoghi scurrili e per la provocatoria scena in cui i Cahiers du Cinéma (che hanno sempre stroncato le opere del regista) fanno da carta igienica, l’opera è un tripudio di caratteri e situazioni oltraggiose che non si esauriscono nell’esagerazione fine a se stessa, ma possiedono un “credo” di base: in una realtà/Natura selvaggia che giustifica i comportamenti devianti, i buoni non si distinguono più dal ruolo o dalle azioni commesse, ma solo dalla capacità di provare sentimento. Meglio la seconda parte (nel rave-disco-party: tesa, rabbiosa) della prima che scivola troppo sul demenziale, ma sono sempre simpatici i malviventi (il carismatico Dobermann, la sensuale sordomuta, il nevrotico masticatore di chewing gum Mosquito, il finto prete, l’amante dei cani, il travestito): persino quel porco desolante del fratello della sordomuta strappa più pietà dell’ispettore di polizia senza cuore (Tcheky Karyo e i suoi inglesismi: quando lancia per aria un bebè, quando davanti a lui viene pestata a sangue una donna e non interviene) cui Kounen riserva una fine atroce, con tanto di sequenza da antologia (la morte confusa con la realtà che si rivela sogno). Per i buoni, in fondo, la vita è solo un gioco, un film (i protagonisti adorano quelli con Maciste): peccato non si possa vedere al rallentatore. Grande il colpo di scena con il prete guardone.