Commedia

DIVERSO DA CHI?

TRAMA

Piero, omosessuale dichiarato, è il nuovo candidato sindaco al quale il partito affianca la conservatrice Adele durante la corsa all’elezione . Nonostante le diversità, tra i due il desiderio è presto in agguato…

RECENSIONI

Esiste il compromesso, talvolta inevitabile per la stabilità di un rapporto (sociale, familiare, sentimentale, religioso...), ed esiste – lontana anni luce dal primo - la sensazione del compromesso, quella che aleggia sgradevolmente un po’ ovunque in questo Diverso da chi?. Mentre il compromesso porta comunque con sé un modo di elogiare le diversità, illuminandole tutte e contemporaneamente attraverso il confronto/scontro, la sensazione del compromesso è, non un falso compromesso, bensì – cosa assai peggiore - un sentore amaro nel prendere atto che certe cose sono state dette o messe proprio e proprio così, per farci credere (a noi spettatori, gli ultimi “fessi”) che – dopotutto – quello è il modo (politicamente) corretto di dirle, o metterle. È il sentore di un tradimento di fondo a cui ci chiedono di essere abituati.
Diverso da chi? inizia malamente a proporsi come una commedia sentimentale: Piero e Adele, il “Primum Fessum” e la centrista, l’omosessuale farfallone ma “sposato” e la etero divorziata ma sessualmente repressa – ovvero, i perfettamente diversi -, si odiano, poi amano, quindi lasciano... come andrà a finire? O meglio, senza scomodare nessun come (giacché, le motivazioni dei protagonisti vengono tirate lì come caramelle; le uniche scintille avvistabili sono quelle provocate dalle esplosioni dei luoghi comuni, lassù negli alti vertici del ridicolo; i dialoghi, anziché proporsi come i luoghi dell’equivoco e del desiderio, rasentano l’imbarazzo; lo sforzo dei due protagonisti, Argentero e Gerini, consiste grossomodo nella presentazione di un catalogo minuzioso di boccucce, spallucce e faccine; e la regia, davanti a cotanta roba, rispettosamente sceglie di non esistere), a quale conclusione si potrà mai arrivare? Mah.
Procedendo con il ritmo – e a tratti le sembianze - di un programma elettorale, tirando una pacchetta patinata qua e una là (la tolleranza, l’occhiata sulla famiglia alternativa, la denuncia del razzismo, la “sicurezza della sociabilità” etc. etc.) nel tentativo di mettere un po’ tutti (zitti e) d’accordo, si arriva finalmente all’ultimo punto cruciale e lietissimo come uno spot ministeriale. Finito lo spot, ahimè, rimane però sullo sfondo nero quella strana brutta sensazione, come se un livido si fosse posato sopra il nostro occhio... dopotutto, come le ferite inferte al povero Piero, le cose non sono affatto andate così.

Si può intraprendere una strada alternativa a quella proposta dai soliti rozzi prodotti che intasano il mercato cinematografico italiano e (ri)tentare la satira di costume di una volta in un film in cui, a ben guardare, gli spunti per un lavoro garbato non mancano; una farsa in vecchio stile (perché no?) in cui si mettano davvero a nudo le ipocrisie di una classe politica in cui si rispecchiano quelle della società, in cui l'incrocio dei rapporti si giochi sui cari vecchi luoghi della commedia degli equivoci (la camera da letto, il divano del salotto, l'ambiente di lavoro). Si può, certamente: si può credere di essere differenti senza risultarlo in nulla, suonando, questa trista pellicola che ossequia italianamente la televisione (a cominciare dal protagonista per finire alla fallimentare scrittura, passando per l'anonima prosa registica) l'ennesima campana a morto per il medio prodotto nostrano (un mito, se ne esiste uno).
RIP.