TRAMA
RECENSIONI
È ormai indubbio che il lavoro portato avanti da Michel Ocelot nel campo del cinema di animazione, in questi venti anni, abbia una missione divulgativa non indifferente. Se si ha ben presente la produzione televisiva dell'ultimo Rossellini e soprattutto se si riesce ad accedere all'intenzionalità storico-didattica del maestro, allora si possiede la chiave d'ingresso al cinema di Ocelot. Come Rossellini non si limita a illustrare le vite di Socrate, Cartesio, Agostino e Pascal, ma ne ricrea formalmente il pensiero, restituendovi luogo ed epoca storica con un qui e ora (quasi come se la macchina da presa superasse i limiti dello spazio-tempo), anche Ocelot ri-crea epoche, continenti e storie di popoli con il fine della grande divulgazione didattica.
Dilili a Parigi è l'ultimo straordinario viaggio ocelotiano nel pensiero e nella cultura umana, in cui però non parte dal mito ancestrale per giungere all'uomo, come avveniva nel trittico Kiriku, Principi e principesse o Azur e Asmar. Qui si parte direttamente dalla Storia di un popolo, quello Canaco, a cui appartiene la piccola Dilili.
In apertura assistiamo alla rappresentazione di una scena di vita quotidiana in un villaggio Canaco di cui la ragazzina protagonista fa parte.
Un incipit etnografico non lontano dal tipico cinema ocelotiano, ma poco dopo il campo di ripresa si allarga e percepiamo quello che prima restava fuori campo. Il villaggio africano è solo una ricostruzione all'interno dell'Esposizione universale di Parigi del 1889. Siamo avvertiti fin da subito che Dilili a Parigi è un grande sussidiario colorato da cui apprendere la vita, gli usi, i costumi e persino il clima politico della Parigi Belle Époque e non la scrupolosa documentazione quotidiana di un villaggio Canaco.
Dilili è il personaggio narrante dell'intera vicenda, mossa da una doppia tensione quella di apprendere e quella di insegnare, ma a differenza di Kiriku supera la geografia autoctona per poter conoscere il mondo esterno attraverso la grande metropoli parigina, respirando i suoi rumori, la sua arte e i suoi colori. La velocità vorticosa dei mezzi di trasporto, il tratteggio raffinato di alcuni personaggi e l'utilizzo cromatico degli sfondi ne fanno un'opera formalmente futurista in cui Ocelot intreccia, per la prima volta, animazione tridimensionale e fotografie di vedute parigine da lui stesso scattate. Questa mescolanza di vero e ricostruzione animata compongono un amalgama perfetto in cui vita e arte si fondono in una sola cosa, Ocelot ama definirla «pubblicità della realtà». Nella sua poetica e avventurosa traversata, Dilili incontrerà le maggiori figure di quell'epoca tra cui Pasteur, Proust, Méliès, Picasso, Modigliani e la soprano Emma Calvè che farà squadra con la giovane canaca e il suo amico Orel per salvare le bambine parigine dalla minaccia dei Maschi Maestri.
Ecco che il film presenta due facce della capitale europea, quella vivace, variopinta e allegra della superficie urbana e quella buia, misteriosa e inquietante dei suoi bassifondi. Siamo lontani dai romanticismi jazz della Parigi disneyana di Gli Aristogatti (1970) o dalla stilizzazione grafica di Musetta alla conquista di Parigi (1962). Ocelot mescola più influenze e linguaggi tra cinema, architettura, fotografia, design, pittura, compreso il modello letterario del romanzo d'appendice.
Il grumo narrativo centrale che la protagonista deve dipanare è proprio un rovello poliziesco, legato ad una società segreta chiamata i Maschi Mestri che rapisce inspiegabilmente donne e bambine. La sottotraccia gialla segue proprio il modello narrativo dei romanzi alla Eugène Sue o alla Marcel Allain & Pierre Souvreste,
in una caccia a criminali misteriosi e irraggiungibili, attraverso suggestivi passaggi segreti in condotti fognari che riportano inevitabilmente anche al Fantasma di Leroux.
Il trionfo conclusivo della vitalità umanista di Dilili sul maschilismo aberrante dei Maschi Maestri non ha nulla dell'happy end stucchevole e consolatorio, ma risulta la chiusa perfetta di un racconto morale non esente da un certo portato etico-politico.
Senza inutili retoriche Ocelot si schiera dalla parte dei diritti della donna, problematica che dai tempi delle suffragette sembra aver oggi retrocesso di diversi passi, e l'autore ribadisce «Bisogna prendere coscienza e smetterla di fingere di non saperne niente. Uno degli aspetti più terribili di questo fenomeno è che non riguarda solo le donne, ma anche le bambine. La Francia non è un'eccezione».
Dilili a Parigi è anche un grande racconto di formazione dello sguardo, un'educazione sentimentale (mai sentimentalista) alla vita e all'arte, utile ai fini percettivi per poter recuperare quel senso di meraviglioso davanti al cinema che oggi si è praticamente atrofizzato in una visione piatta e compulsiva. Oggi troppo spesso si dimentica che la Settima Arte non è solo un bene di consumo per la massa, ma soprattutto l'arte del piacere per un sognatore solitario.