DICKTATORSHIP: Intervista a Gustav Hofer e Luca Ragazzi

Presentato all’Hot Docs 2019, uno dei festival di documentari più prestigiosi del mondo (si veda la cartolina), il nuovo film di Gustav Hofer e Luca Ragazzi affronta il tema del maschilismo e delle sue conseguenze sulla società italiana, partendo dall’assunto che in realtà nessuno è immune agli effetti di questo atteggiamento, nemmeno le persone che credono di esserlo. L’impianto fondamentale del racconto è quello già apprezzato nei film precedenti della coppia, da Improvvisamente, l’inverno scorso (2006) a What Is Left? (2014), passando per il fortunato Italy, Love It or Leave It (2011), e cioè le conversazioni (e i battibecchi) fra i due, estesi poi alle testimonianze esterne di esperti e interlocutori vari che rafforzano o indeboliscono i punti di vista dell’uno o dell’altro. L’inserimento della “k” nel titolo di Dicktatorship, il cui sottotitolo è Fallo e Basta oppure Macho Made in Italy, a seconda del mercato, sembra sottolineare il maschilismo di cui si ammantando le figure politiche di matrice sovranista e populista—vecchie e nuove. Il collegamento storico e sociale è assodato, ma i co-registi si limitano a suggerirlo più che ad affrontarlo di petto. Il loro stile infatti è profondamente dialogico. Anche se il documentario offre un punto di vista molto chiaro, non se ne fa manifesto, ma si limita ad offrire spazio a voci anche contrastanti.

AZ: Il vostro film è una investigazione dal tono lieve e garbato del maschilismo nella società italiana (e non solo), con varie ramificazioni che si estendono dalla mascolinità tossica alle discriminazioni di genere, dal movimento #MeToo all’ascesa di un certo tipo di politica. Cosa vi ha spinti a voler produrre un film su questo tema? In che modo avete proceduto? 

GH&LR: Siamo al nostro quarto documentario lungometraggio (dopo Suddenly last winter, Italy love it or leave it, e What is Left) e ogni volta siamo partiti da qualcosa che ci stava succedendo in quel momento. Il fatto che non potevamo fare una unione civile perché non c’era la legge, o la partenza improvvisa di moltissimi nostri amici per Berlino, Barcellona, Londra. E in ultimo, la perplessità sul non sapere veramente chi votare alle elezioni perché orfani di un partito di riferimento. In questo caso invece è stato sicuramente il fatto che negli ultimi anni, i toni misogini, anche nel mondo della politica, oltre che nei media, si erano decisamente incrementati, anche per l’uso smodato che si fa dei social.

AZ: I social sicuramente fanno da cassa armonica a pensieri che un tempo restavano confinati ai bar di paese, ma che non per questo erano meno nocivi alla società. Il film non si scaglia però contro i social, che sarebbero un bersaglio immediatamente riconoscibile, ma fa un percorso più ampio, mettendo insieme sagre goliardiche apparentemente innocue con la presenza (o l’assenza) di figure storiche dalle celebrazioni ufficiali. Mi sembra che questo rifletta il vostro metodo di lavoro, che tende a dimostrare le relazioni profonde fra elementi solo superficialmente disparati.

GH&LR: Il discorso sui social e la violenza che possono veicolare, è affrontato brevemente quando intervistiamo Laura Boldrini, la ex presidente della camera che è stata più di tutti bersaglio di attacchi sul web. A noi sta più a cuore l’idea di dar modo allo spettatore di sviscerare, insieme a noi, un problema da più aspetti. Siamo abituati a sentire sempre la stessa campana, ma è molto più istruttivo sentirne tante diverse e poi farsi la propria opinione, possibilmente liberi da pregiudizi.

AZ: Nel film intervistate accademici, psicologi, e attivisti, ma anche gente comune che ha idee molto distanti dal messaggio del film. Immagino che ci siano stati momenti di confronto importanti. Potreste raccontarmene qualcuno? 

GH&LR: Quando cominciamo un film facciamo sempre molte ricerche. In questo caso un anno, prima delle riprese vere e proprie, in cui abbiamo incontrato professori, sociologi, antropologi, teologi. Ma poi non sai mai quello che ti diranno di fronte alla macchina da presa una volta che spingi REC. Le cose più bizzarre però vengono sempre dal vox populi: Se fossimo più cinici o sleali faremmo un film solo con quello e il divertimento sarebbe assicurato. Si dice spesso che gli italiani siano molto più avanti della loro classe politica ma dobbiamo ammettere che ogni tanto fatichiamo a crederlo.

AZ: Si dice appunto che in questi anni la distanza fra l’elettorato e la classe politica si sia accorciata. L’ascesa del populismo lo dimostra, e purtroppo anche questo non è un fenomeno esclusivamente italiano. La definizione stessa di “gente” è diventata problematica, in quanto spesso definisce categorie di inclusione ed esclusione. Immagino che fare un film tenendo conto di questo problema sia molto difficile. Ci sono voci che avete deliberatamente scelto di escludere, o viceversa, opinioni che volevate assolutamente includere?

GH&LR: Nei nostri lavori non andiamo mai per “esclusione” ma sempre per “inclusione”. Volevamo guardare alla questione del sessismo e del maschilismo da una prospettiva più ampia possibile, come se stessimo pian piano creando un puzzle dove ogni elemento ci aiuta a creare the bigger picture. Per questo abbiamo voluto sentire voci molto diverse fra di loro, sentendo ma anche smontando quelle frasi fatte che spesso si sentono, per esempio quando si parla di violenza e/o aggressività del maschio e viene sempre tirato fuori l’argomento biologico del “testosterone”. Abbiamo voluto prendere questi falsi miti per sfatarli. 

AZ: Credo che la scena dal barbiere (non raccontiamo cosa succede) colpirà molte persone che ancora non sono state esposte a quel particolare punto di vista. Quali sono stati i momenti di scoperta per voi, sia positivi che negativi? 

GH&LR: L’incontro con la scrittrice Michela Murgia è stato illuminante perché ci ha fornito delle chiavi di lettura per decodificare la realtà. Erano cose evidenti eppure non ci avevamo mai pensato. Ma anche il sociologo Americano Michael Kimmel è stato molto generoso con noi e come spesso accade, molto difficile da accorciare al montaggio perché ha detto una gran quantità di cose intelligenti. Infine, rivedere ore e ore di repertori televisivi per selezionare dei momenti di ordinario sessismo, ci ha profondamente depresso. Noi da 15 anni non abbiamo la televisione a casa e così non eravamo al corrente di quello che si vede in TV quotidianamente. È a dir poco sconsolante.

AZ: Come notate giustamente, il ruolo della televisione è fondamentale in quanto concomitante all’ascesa del berlusconismo in Italia, ma c’è anche da dire che il fenomeno che descrivete si estende molto al di là dei nostri confini. Basta dare un’occhiata alle elezioni americane del 2016 per vedere come sessismo e maschilismo non siano elementi squalificanti (come dovrebbero in realtà essere, a mio avviso), non solo di un candidato, ma di un intero sistema di pensiero. Nel dire questo non intendo affatto giustificare la società italiana creando falsi sillogismi, anzi. Ma sicuramente si tratta di atteggiamenti estesi e perniciosi. In che modo possiamo contribuire al loro sradicamento?

GH&LR: Girando il mondo con i nostri film ospiti in più di 300 festival, abbiamo notato che spesso all’estero le persone inizialmente si sentono immuni a certi atteggiamenti che noi raccontiamo sull’Italia. Ma dopo la proiezione succede spesso che vengono a dirci quanto in realtà si sono riconosciute in quello che abbiamo raccontato — pur essendo canadese, polacco, argentino o coreano. Sicuramente in Italia certi atteggiamenti e problemi sono più visibili, più gridati, messi in mostra o addirittura celebrati. Per questo il nostro paese si presta molto a fare da specchio. Riflettersi in questo specchio può essere un primo passo per riconoscere che c’è un problema e che si può iniziare a lavorarci sopra per – magari – superarlo.  Non ci dimenticheremo mai una volta a Buenos Aires, al termine della proiezione una ragazza del pubblico si è alzata è ha detto: “noi qui sappiamo di essere secondo mondo, ma voi italiani come fate a far finta di essere il primo?”. Non ci illudiamo che un film possa cambiare il mondo ma almeno creare un dibattito, quello si.