Azione, Recensione

DIE HARD – UN BUON GIORNO PER MORIRE

Titolo OriginaleA good day to die hard
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2012
Genere
Durata98’

TRAMA

John McClane, saputo che il figlio è in prigione a Mosca, lo raggiunge scoprendo che, in realtà, è un agente Cia che sta portando in salvo Komarov, in possesso di un file che condannerebbe l’attuale ministro della difesa che gli sta dando la caccia.

RECENSIONI

Il film è costruito su tre scene d’azione spaccatutto: la prima, la più spettacolare, ha luogo per le strade di Mosca, e non si contano le macchine distrutte da buoni e cattivi, incuranti, in modo imbarazzante, delle sorti di vittime innocenti; la seconda è ambientata in una sala da ballo, con un crescendo di spari che culmina con un elicottero; la terza ha luogo nella centrale di Chernobyl. Fra un blocco e l’altro, John Moore si dedica al rapporto fra padre e figlio con quest’assunto: il miglior modo di riavvicinarli è ammazzare insieme, senza pietà, un po’ di cattivi. La microcefala sceneggiatura di Skip Woods dialoga con l’ignoranza media, fornendo la motivazione sul perché: il cattivo di turno porterà terrorismo, armi di distruzione di massa e guerra nucleare. Profili psicologici a seguire: villain da recita dell’asilo, un John McClane che, per un po’, fa solo da spalla-grillo parlante, con battute pessime e una commedia sempre fuori luogo, e la figura inconsistente di suo figlio. Skip Woods non si risparmia: fanno da comprimari vari voltafaccia dei caratteri e spiegazioni scatarrate dei colpi di scena (un piano così elaborato, il rischio continuo di morire, solo per essere tirato fuori di prigione?). Il danno d’immagine colpisce l’intera saga, di cui si perde lo spirito: quando il figlio, imitando il padre in Trappola di Cristallo, getta il cattivo nel vuoto, non siamo più di fronte a un simpatico giocattolo d’azione ma a un gesto noncurante di un assassino senza causa, che il film vuole passare per eroe. Tutta l’opera è perniciosamente diseducativa, perché John Moore (che, oltretutto, non sa montare le scene d’azione, vedi gli inseguimenti iniziali) non ha il polso per tenere distinta la spettacolarità dalla motivazione ad agire: alla prima sacrifica sempre la seconda, non rendendosi conto che giustifica anche l’azione più ignobile o il comportamento più ottuso in nome dello sballo. Se, poi, McClane, passa per uomo rozzo che chiama i russi Karamazov (in originale più sottile: Ratskywatsky, personaggio de Il Miracolo del Villaggio di Preston Sturges), die hard è morto. Sul mercato c’è un’extended version, dove il personaggio di Mary Elizabeth Winstead (figlia di John McClane), scompare del tutto.