DETENTION

Titolo OriginaleDetention
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2012
Durata93'
Scenografia
Costumi

TRAMA

Non è la fine del mondo, è solo il liceo.

RECENSIONI

 Every reviewer that attacks me on the basis of being a "video director", well, on behalf of video directors: Suck. My. Dick.

Joseph Kahn è uno dei registi che ha marchiato a fuoco la videomusica di questi anni. Non si è mai ammantato della veste di autore, anche se lo è palesemente. Si è mosso quasi esclusivamente nell'ambito del mainstream, in esso mimetizzandosi.
Al di là delle sue perle da antologia, c'è sempre nei suoi video un guizzo, una scheggia, qualcosa di prezioso da conservare.
Negli ultimi due anni la sua produzione clippara si è alquanto diradata, ma per un motivo valido: questo film.
Detention, secondo lungometraggio dopo l’adrenalinico Torque (variante in chiave motociclistica di Fast & Furious, più organico di Detention alle ragioni del genere perché benedetto dalla Warner Bros) è stato l’obiettivo del lavoro del regista, un progetto al quale Kahn teneva al punto da non permettere ad alcuno di interferirvi; nessuno studio, nessuna compagnia di distribuzione, nessuna garanzia: tutti i dollari per il film li mette di tasca propria perché «I wanted you to see something pure», ha scritto. E Detention un film puro lo è, al punto da non porsi limiti di alcun tipo, distillato integralista dell’arte di Kahn, prendere o lasciare: squilibrato, eccessivo, estenuante, ma anche fresco, colto, anticonvenzionale.
L’obiettivo è sollecitare lo spettatore in ogni istante: così i personaggi spesso lo interpellano chiedendo comprensione o solidarietà, spiegandogli quanto avviene ed esponendo i cardini teorici della narrazione. Allo stesso scopo risponde l’uso sperticato di sovrascritte, lo schermo come un desktop; il montaggio, per quanto convulso, chiamato a creare senso; la scelta di punti di visione inconsueti, ma puntualmente motivati dal racconto. In questo uso presenzialista della macchina da presa - come già nel trionfo del panning Torque, un action a trama basica (- I live my life a quarter-mile at a time. - That is the dumbest thing I've ever heard!) dalla pregiatissima tessitura visiva - si rinvengano le origini video del regista che tutto lascia esprimere all’immagine e all’editing - tra sciali di ralenti e accelerazioni, giochi di focalizzazione, inquadrature di composizione arditissima.

Ma Kahn non è solo un virtuoso, è anche un sublime e caustico utilizzatore della cultura pop, consapevole di essa come pochi e pronto ad irriderne i feticci (non privo di autorionia, peraltro: la bella sequenza dei titoli di testa di Detention si chiude con la sua firma nel vomito).
L'inizio folgorante è in chiave teen comedy e culmina nel primo ammazzamento, col sangue che sgorga e fa pendant con quello mestruale della protagonista (no, è ketchup) che sbarca sullo schermo a seguire. Ma non ci troviamo dalle parti della mera parodia, perché Detention non si limita ad andare a tastare un po' tutto - dal film generazionale (Breakfast Club - la detention viene da lì -) allo sci-fi cronenberghiano (La mosca) o esistenziale (Donnie Darko), con tutti gli addentellati del caso; dal time traveling movie al poliziesco, dallo slasher al meta-horror à la Scream (l'ammicco continuo è agli anni Novanta) -,  ma sintetizza questo materiale in un organismo unico (la crasi brutale di tanti input è un colpo di genio: la fine del mondo può scaturire dal rifiuto a un invito al ballo scolastico), sovrastrutturato e talmente carico da impegnare lo spettatore più cosciente (al quale, a un secondo livello, il film senz'altro si rivolge) in una attività di decodifica continua e spossante, lasciando quello più sprovveduto a giochicchiare con la sua trama-arzigogolo. Perché Detention non teme di attorcigliarsi fino alla vertigine, preso com’è il suo autore a polverizzarvi dentro di tutto (dallo scambio mente-corpo di madre e figlia, al film-nel film-nel film, alla spirale temporale foriera di agnizioni clamorose - «L’unico modo di cambiare il passato è cambiare il presente» -) in una struttura rigorosamente caotica che procede orizzontalmente per link, in cui ogni scena può rimandare a qualcos’altro (in altri contesti, in altri tempi, in altri livelli narrativi, tutti debitamente segnalati dalle didascalie).
Ecco allora che ogni sua frazione diventa un piccolo exploit, con totale abolizione di tempi morti o semplicemente meditativi (a parte il canone della ripresa musicale che raggruppa tutti i personaggi, a scimmiottare Mad world in Donnie Darko): come in un videoclip, tutto viene espresso sempre a lettere maiuscole, ogni secondo dice, tutto si affastella a velocità supersonica, vi è l’abolizione scientifica di passaggi interlocutori, sputtanamento di qualsiasi tentazione di alternare un climax a un anticlimax.

Irriverente e acutissimo, Detention è allora un film fatto spudoratamente a misura di pubblico giovane - di cui parla il linguaggio - e che è abituato a essere bombardato di stimoli senza soffermarsi su nulla per più di pochi secondi, specchio dei tempi (nel bene e nel male) nel quale occorre tuffarsi e (soprattutto) rituffarsi, pronti a essere sbattuti da un punto all'altro, senza sicurezza della direzione che si prenderà, muovendosi la storia su una pianta tanto instabile e mobile da rendere paradossalmente leggibile la sua calcolata confusione: è probabilmente l'obiettivo intimo del regista quello di creare nello spettatore un'astrazione tale da fargli percorrere il film senza agganci certi, senza progressioni, senza momenti topici (lo sono tutti, o non lo è nessuno).
In un colloquio che ho avuto con lui, Kahn mi ha detto: « La cosa che avvicina di più Detention ai video musicali è il fatto che l'ho concepito per essere visto più volte».
Concludendo: sembrerà anche vaneggiante e imperfetto, verrà considerato anche eccessivamente cerebrale e autoreferenziale, suonerà anche sguaiato ed esasperato, ma Detention è un oggetto puro (puro, come lo intende Kahn) che il cinema americano di consumo delle grandi major non si può permettere e che questa generazione invece si merita (in ogni senso possibile) e che, grazie alla tenacia del suo autore, ha ottenuto.