Avventura, Drammatico, Sala

DENTI DA SQUALO

TRAMA

Walter è un tredicenne che ha da poco perso il padre, un ex criminale morto in un depuratore per salvare la vita di un collega. Il ragazzo vaga inquieto in bicicletta per le strade di Ostia quando incontra una villa misteriosa e apparentemente abbandonata. Qui incontra Carlo, un ragazzo un po’ più grande che si atteggia da bulletto e gli dice di essere il custode della villa. Le maggiori sorprese, però, le riserva la piscina.

RECENSIONI

L’estate è da sempre il periodo delle scoperte, soprattutto se si è giovani, con poca esperienza di vita e molto tempo a disposizione. Stagione perfetta, quindi, per un percorso di formazione derivante da una sceneggiatura vincitrice del premio Solinas nel 2014, rimasta nel cassetto per alcuni anni, poi finita nelle mani di Gabriele Mainetti che ne ha co-prodotto il film con la sua Goon Films (ritagliandosi anche uno spazio come co-autore delle musiche). Anni che si sentono, soprattutto in certe caratterizzazioni (quella della madre su tutte) ma, data l’universalità del racconto, in grado comunque di agganciare una sensibilità contemporanea. L’approccio è quasi fiabesco: un tredicenne da poco orfano di padre, una madre che non riesce a far convivere il proprio dolore con la rabbia del figlio, la solitudine di giornate che non passano, il litorale romano con le sue spiagge e le sacche di microcriminalità e una villa misteriosa nella cui piscina si nasconde un segreto. Quasi come un novello Cappuccetto Rosso, o Pollicino, il piccolo Walter smarrisce la strada di casa per poi ritrovarla fortificato dalla maturità acquisita. Non è quindi il solito percorso di formazione quello a cui assistiamo, il fine non è staccarsi dalla famiglia ma proprio il contrario, ritrovare cioè la strada di casa a cui tornare pacificato e con nuove consapevolezze. I cliché non mancano, ma vengono aggirati o affrontati da prospettive differenti dal solito; la scelta di un regista fuori contesto (il milanese Davide Gentile al suo debutto nella direzione di un lungometraggio) in questo senso ha di sicuro aiutato. La malavita laziale di periferia, infatti, è meno urlata di quella a cui la tv ci ha abituati. Ma tutto il film evita di impantanarsi in triti luoghi comuni o, meglio, li imposta per poi schivarli.

Per dire, c’è una pistola, ma non è sparando che il protagonista abbandona l’infanzia per entrare nell’adolescenza. La crescita del personaggio segue strade meno scontate, all’insegna della metafora (anche molto insistita), e la riconciliazione con la figura paterna, predatore di terra, passerà per la liberazione dello squalo, predatore di mare, a siglare la scelta di una vita addomesticata ma libera. Meno convincenti, nell’economia del racconto, alcune svolte, come la facilità con cui il protagonista viene accettato tra i delinquentelli locali e la descrizione delle relative dinamiche. La misura dell’approccio, sulla carta punto di forza del film, finisce per essere un’arma a doppio taglio, perché l’insieme resta un po’ sospeso in un limbo di buone intenzioni che graffiano poco. A stemperare ogni conflitto è infatti un tono non solo sfumato ma a volte incerto, con un’atmosfera da commedia che non fa mai prendere sul serio le possibili derive drammatiche, sempre compensate da chiuse sdrammatizzanti in cui ciò che potrebbe fare male finisce per non farlo, e non sempre per ragioni plausibili. Tra gli elementi a favore, invece, gli effetti speciali, che combinano con grande efficacia animatronics e computer grafica, e le interpretazioni, dal giovanissimo protagonista Tiziano Menichelli, al suo esordio, ai veterani Claudio Santamaria ed Edoardo Pesce. Nel complesso un’opera che svolge con onestà e senza picchi il suo compito primario che è quello di intrattenere. In fondo, se abbiamo seguito decine di percorsi di formazione, soprattutto americani (dichiarati modelli di riferimento), perché non farlo quando ambientazione e contesto sono italiani?