TRAMA
Johannes si trasferisce con moglie e figli nella piccola città rurale della sua infanzia. Ma il fratello Lars, camionista violento e ubriacone, investe e uccide per errore Anna, dedita al marito e alla chiesa. Lars riesce a dirottare i sospetti sul bosniaco immigrato Alain, amico di Johannes, che cerca di proteggerlo dalla folla che vorrebbe linciarlo. Johannes, la sua famiglia e Alain entrano nell’incubo di una folla che cerca sangue, istigata dalle parole fanatiche e religiose del marito della vittima.
RECENSIONI
Al di là del Bene e del Male
C'è ancora del marcio in Danimarca. In un piccolo paese di campagna la vita sembra scorrere ordinaria ma la morte, in un misterioso incidente, di una delle donne più amate della comunità, la moglie del sindaco, farà emergere odi e rancori atavici. Il film di Ole Bornedal, rivelatosi al pubblico internazionale con Il guardiano di notte (porta la sua firma anche il successivo remake americano Nightwatch) mette in scena l'eterno conflitto tra Bene e Male. I riferimenti biblici sono subito evidenti a partire dal titolo e dalla scelta di contrapporre due novelli Caino e Abele. I due fratelli protagonisti non potrebbero essere più diversi. Uno è sbandato e violento e sta per sposare una ragazza spostata che porta in grembo suo figlio; l'altro è il classico uomo arrivato: ricco, sposato, con due figli e una bella casa in cui si è appena trasferito insieme alla famiglia. Come spesso accade, però, non è tutto oro quello che luccica e la perfezione del quadretto è minata da un'insoddisfazione sotterranea ma tangibile. Bornedal, anche sceneggiatore, dà vita a un racconto stratificato in cui vari temi si sovrappongono: c'è l'insoddisfazione di una vita familiare agiata ma priva di sussulti; c'è la rabbia di chi si è sempre sentito inferiore, schiacciato dal confronto; c'è la violenza che sorge dall'ignoranza e dall'invidia; c'è la perdita della razionalità di chi, scosso da un evento terribile e inatteso, non riesce ad applicare i valori in cui ha sempre pensato di credere; c'è la paura del diverso, che anziché sfociare in un tentativo di aprirsi al nuovo si tramuta in aggressività; e c'è la devastante logica del gruppo, che porta ogni gesto e decisione alle estreme conseguenze. Tutti i nodi verranno al pettine in una festa di paese che trasforma un'occasione di svago in un viaggio nel nero più profondo. La carne al fuoco è davvero tanta e sul destino dei personaggi aleggia un senso di ineluttabilità che mostra il fallimento della ragionevolezza e la pericolosità del fanatismo religioso. Nessuno uscirà vincente ma tutti, almeno quelli che ce la faranno, dovranno rivedere il proprio ordine di valori. Bornedal ne ha davvero per tutti e il suo sguardo si fa apprezzare proprio per la problematicità delle dinamiche a cui dà vita. Ognuna cosi sfaccettata e intersecata all’altra da lasciare intravvedere un disegno finalizzato alla dimostrazione di una tesi volta al pessimismo. Per fortuna, però, i personaggi non si piegano a chi li ha scritti e la coralità dell'impostazione finisce per evidenziare soprattutto le contraddizioni di ognuno e le difficoltà di impostare una reale e costruttiva comunicazione. Lo sguardo del regista si conferma quindi complesso e ricco di spunti, anche se non sempre originale (Cane di paglia di Sam Peckinpah è un riferimento costante). Alla forza dell’impatto contribuisce non poco la gelida fotografia dai toni bluastri di Dan Laustsen. Lo scioglimento dei tanti nodi della vicenda, date anche le premesse da tragedia, non evita qualche grevità di troppo (lo stupro di gruppo con vendetta annessa) e svolte improbabili (il colpo di scena che spiega come sono andati realmente i fatti), ma il ritmo non dà tregua. Geniale il narratore esterno al racconto che apre e chiude il film rivolgendosi direttamente allo spettatore.
