Fantascienza, Poliziesco, Recensione

DÉJÀ VU

TRAMA

Il detective Doug Carlin è chiamato ad indagare su un attentato esplosivo ai danni di un traghetto, costato la vita a centinaia di persone. L’indagine finisce per concentrarsi sulla morte della bella Claire, forse la chiave per arrivare all’attentatore…

RECENSIONI

Dopo il Tony Scott che ci piace di più, quello personale e contraddittorio di Domino, ecco quello alimentare, con tanto di produzione Bruckheimer a sancire la cosa a chiare lettere. Déjà Vu sembra inizialmente bazzicare territori comunque scottiani, configurandosi come un Revenge movie vestito da thriller tecnologico (Nemico Pubblico) e presentando un protagonista iconograficamente déjà vu in Man on Fire. Poi, giusto il tempo di lamentarsi per una sceneggiatura che sembra decisamente forzare i limiti del buon senso in nome della funzionalità narrativa (un set di satelliti che registra un continuum audiovisivo 'onnisciente' e ri-vedibile a posteriori un’unica volta?) e per leggerla iperbolicamente, azzardando chiavi interpretative neanche troppo stupide (il panotticismo foucaultiano, la vita come irripetibile piano sequenza multiangolo), e il film svela l'inganno e cambia le carte in tavola, gettandosi a capofitto nella fantascienza pura (una novità, nella filmografia del regista) dei viaggi nel tempo. Leggermente storditi e dubbiosi, si rimane a godersi un countdown thriller che gioca un po' à la 'viva il parroco' coi paradossi temporali ma che nondimeno conferma la navigata perizia di Scott nella gestione di blockbuster indigesti solo sulla carta che invece, a conti fatti, risultano ben più che semplicemente 'guardabili'. Merito della solita, efficace regia da reduce del videoclip (montaggio serrato di inquadrature brevi e mobili, con predilezione per i movimenti di macchina laterali coestensivi alla durata dei piani) che gestisce ottimamente le sequenze di azione pura, si concede qualche sporadico vezzo arty e suggerisce timide interpretazioni di stampo metacinematografico: Denzel Washington che 'indaga' impugnando il casco-visore a mo' di cinepresa dà adito a tutta una serie di elucubrazioni di matrice antonioniana-depalmiana (ricerca della Realtà dietro l'Immagine filtrata/magnificata da una tecnologia paracinematografica) che mi pare saggio mantenere solo accennate.

Il potere del cinema è quello di trasportare in un altrove dove tutto è possibile, almeno per le due ore di proiezione. Con le giuste premesse narrative, i morti possono tornare in vita, i marziani invadere la terra e gli animali parlare. Il problema di Déja vu - corsa contro il tempo è che il miracolo della "sospensione di incredulità" non si compie. Lo spettacolare incipit porta impressa chiaramente la firma di Tony Scott (stile dinamico e patinato a metà strada tra la pubblicità e il videoclip) e l'anima del produttore Jerry Bruckheimer (esplosioni e inseguimenti a profusione). All'antefatto adrenalinico (un attentato dinamitardo su un battello nella baia di New Orleans) segue una secca e rapidissima presentazione dei personaggi. Un primo cedimento, nonostante l'oliatissima macchina cinematografica impostata da Tony Scott che stordisce e ammalia con la moltiplicazione frenetica dei punti di vista, deriva dall'insopportabile aura vincente che avvolge il protagonista Denzel Washington. In dieci minuti di film ha già capito tutto. Gli basta annusare sotto a un ponte, raccogliere i primi due infinitesimali reperti che gli capitano a tiro e guardare uno dei 540 cadaveri recuperati nella baia, per capire che la morte della bella ragazza è la chiave del mistero. Ma il colpo di grazia definitivo è nella lunga parte centrale in cui le indagini prendono una piega fantascientifico-demenziale, con una sorta di porta spazio-temporale, giustificata dalla solita spiegazione dell'espertone di turno con abuso di termini tecnici in rapida successione, in grado di vedere il passato e, addirittura, modificarlo. Il cedimento si evolve quindi in scollatura totale, perché si passa da un realismo, seppure iperbolico, alla totale idiozia, senza che la sceneggiatura avvisi lo spettatore con appositi display narrativi tipo "Attenzione! Stiamo passando da un thriller catastrofico a una storia di Topolino". Una sequenza per tutte: il poliziotto Washington punta una luce sullo schermo in cui scorre il passato della ragazza (sic!) e riesce a interagire con lei. A peggiorare le cose il fatto che tutti, ma proprio tutti, si prendono tremendamente sul serio. Da questo punto in poi lo spettatore si trova a un bivio: interpretare razionalmente ogni passaggio o cedere all'assurdo. Nel primo caso è impossibile non perdersi nelle innumerevoli incongruenze, mentre nel secondo c'è invece modo di godere della professionalità di Scott e del suo indubbio talento per l'immagine, con tutti i cliché delle storie a ritroso nel tempo perfettamente cavalcati. Fino all'improbabile happy-end, almeno, appiccicaticcio e inopportuno indipendentemente dalla strada intrapresa. Tra il tronfio Denzel Washington, la bella Paula Patton e il bolso Val Kilmer, ha modo di distinguersi il terrorista-mitomane James Caviezel, che in poche sequenze riesce comunque a dare credibilità a un personaggio privo di un'adeguata caratterizzazione (debolucce le sue motivazioni e balengo il fatto che il 90% delle difficoltà che incontra siano nel banalissimo furto di un'auto).