Mockumentary, Thriller

DEATH OF A PRESIDENT

Titolo OriginaleDeath of a President
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2006
Genere
  • 66780
Durata90'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Chicago, 19/10/2007: George W. Bush (presidente degli Stati Uniti, creazionista) viene assassinato. Comincia la caccia al colpevole.

RECENSIONI

Mockumentary solo in apparenza fanta-ucronico, questa (allo)storia dell’omicidio di Bush, a ben vedere, non racconta affatto un what if proiettato nel futuro ma si limita a ribadire, neanche tanto metaforicamente, un assodato what. Le narrazioni storico-alternative “classiche”*, infatti, cui Death of a President sembra in qualche modo imparentarsi, raccontano cosa sarebbe successo se mentre il film di Range, che pare volerci dire cosa succederebbe se, in realtà ci ripete solo cosa è successo: è successo che un evento destabilizzante (11 Settembre – omicidio Bush) ha spinto il governo americano a prendere decisioni drastiche, finanche lesive dei diritti e delle libertà dei cittadini [i(l) Patriot Act], e ha innescato un’isteria nutrita di Paura che ha reso possibili reazioni “scomposte” [guerra in Iraq – arresto di un (musulmano) innocente] e pretestuosamente motivate (inesistenti armi di distruzione di massa pronte all’uso – impianto accusatorio fondato su indizi inconsistenti e manipolati). Ne risulta un’operina dalla personalità opaca che se da un lato ha il merito di non tradursi in vuota e sensazionalistica provocazione, dall’altro non offre né ironica e/o argomentata cattiveria, né una fantapolitica degna di questo nome (come già detto non si prefigura nessuno scenario, c’è solo slittamento di cronaca nota) né una tenuta drammatica apprezzabile, dato che la parte meno interessante (il pre-assassinio) occupa quasi metà film e la restante metà, che sembra imboccare la strada del whodunit, si trascina catatonica fino a un finale in cui irrompe anche un po’ di melensa retorica à la Michael Moore. Rimane da constatare la perizia tecnica con la quale Gabriel Range e il suo computer hanno confezionato Death of a President, che si dimostra un “documentario retrospettivo” assai credibile grazie all’abile montaggio di fiction e repertorio reale, digitalmente manipolato e cinematograficamente mimato.

*Gli esempi di narrativa allostorica più noti riguardano la seconda guerra mondiale: cosa sarebbe successo se Hitler avesse vinto la guerra? (La svastica sul sole di Philip K. Dick) E se l’avesse “pareggiata”? (Fatherland di Robert Harris) E se ci avessero messo lo zampino degli alieni rettiloidi? (i cicli dell’Invasione e della Colonizzazione di Harry Turtledove). Non mancano però altri esempi che spaziano dall’impero romano (Rome doit étre détruite di Pierre Barbet) alla rivoluzione russa (Alexandra di Jacqueline Dauxois e Vladimir Volkoff) passando per la scoperta dell’America (Vineland e The round-eyed barbarians di L Sprague de Camp). Il tema dei mondi paralleli e delle storie alternative ha interessato anche i fumetti, con la serie Elseworlds della DC e la saga Age of Apocalypse della Marvel.

Nell'attuale temperie, è un destino non imprevisto quello di Death of a President: essere percepito soprattutto come un film di fantapolitica, o un polemico exemplum sulla paranoia della culture of fear e della sua manipolazione ideologica nelle forme dello “Stato d'eccezione”. Anche di questo si tratta, indubbiamente; ma perfino in un'opera lontana da ogni grandezza espressiva il come assume un autonomo spessore significativo.
Qui, i materiali d'archivio utilizzati sono autentici, e ciò che abbiamo di fronte è tanto lontano dalla fiction quanto lo è dal documentario: l'autore finge di documentare la realtà attraverso un buon lavoro di montaggio e di microsostituzioni, sì da farci vedere quello che non è, di dare uno statuto di verità documentale alla finzione pura. Non può non discenderne l'invito a guardare meglio ciò che i media ci fanno vedere, a chiederci come è stato costruito e per farci vedere che cosa.
Peraltro, è fin troppo allettante nutrire sospetti di un complotto dalle mitologiche proporzioni di fronte ad apocalissi spettacolari: eventi in sé meno drammatici e carichi di implicazioni concrete rispetto a decine di altri, che ben altrimenti si presterebbero ad analisi tali da smentire clamorosamente la Historia Oficial ma di cui a fatica si serba memoria perché non suscitano interesse bensì noia, non coinvolgendo la nostra sensibilità estetica; prestando attenzione agli uni e non agli altri, si soggiace a quelle stesse implicazioni simboliche attribuite dal potere della comunicazione a immagini eccitanti e distruttive.
Paghi di subire il simbolismo che ci viene imposto, solo rovesciandolo di segno attraverso le teorie del complotto, ci esentiamo dal dirigere altrove la nostra attenzione critica: la goliardia finto-dissacratrice che non si cura di argomentare è più gratificante dell'indagine accurata, soprattutto quando paga alti dividenti in termini di tenuta cinematografica e di rovesciamenti totali – à la Shyamalan, come minimo – sul piano della sceneggiatura. D'altra parte, agli spiriti più sofistici o sofisticati meglio si confà una scansione complementare dello stesso pensiero, che pone l'accento non sui mirabilia dell'immagine ma sulla cancellazione della realtà dallo scintillante luna park simbolico nel quale siamo immersi; a tale esito forniscono paradossalmente un appiglio anche opere come Death of a President o, su tutt'altro livello,The Prestige: in patria, Range è stato seriamente tacciato di istigazione a delinquere.
Ai cultori di ambedue le versioni, quella sedicente politica e quella sedicente filosofica, gioverebbe soffermarsi sulle parole di Hannah Arendt: Il suddito perfetto del regime totalitario è colui per il quale la distinzione tra fatto e finzione – vale a dire la realtà dell'esperienza – e tra vero e falso – vale a dire le norme del pensiero – non esiste più.