TRAMA
Deadpool deve confrontarsi con Cable, misterioso cyborg mutante che arriva dal futuro allo scopo di neutralizzare un giovanissimo e potente mutante che produce temperature estreme dalle mani e dà fuoco agli oggetti circostanti. Per affrontarlo dovrà mettere insieme una squadra di guerrieri tra cui spicca la sexy guerriera Domino.
RECENSIONI
Ci sono film che hanno il potere di farti sentire stonato, inadeguato e pure bacchettone. Mentre infatti la platea mondiale e parte della critica plaudono alla seconda puntata del “Mercenario Chiacchierone”, si tenta di capire come mai tale supereroe, sulla carta simpatico, sopra le righe, piacevolmente loser e anti-tutto, risulti invece così respingente. Forse proprio perché dietro a un’apparenza originale, spregiudicata, irriverente e tutt’altro che edificante si rivela in realtà protagonista di un percorso piuttosto omologato e tradizionale. Succedeva nel primo capitolo, dove siparietti di grana grossissima, teste volanti e un toy nel sesso sono sembrati a molti una gran trovata, tale da distogliere da un andamento che più classico non si poteva, fatto di invulnerabilità, vendetta, botte da orbi, una ragazza da riconquistare, fino allo scontro finale con il cattivone di turno. E succede anche nel secondo capitolo, dove gli stessi elementi (più ridotti i riferimenti sessuali, più accentuata la violenza) mascherano una storia quasi virtuosa di solidarietà tra ultimi con tanto di approdo familista e zuccheroso. A fare da collante una sequela di citazioni che frullano un immaginario pop televisivo, cinematografico e musicale e il tanto decantato sfondamento della quarta parete, che rende il protagonista cosciente di essere nel sequel del film a lui dedicato e gli consente di parlare direttamente al pubblico. Se si sta al gioco probabilmente ci si diverte, perché il ritmo è sostenutissimo, le freddure si susseguono incessanti e l’azione è roboante. La domanda, però, è: il film consente di stare al gioco?
Difficile, a meno di non essere già seguaci devoti, provare il benché minimo interesse per ciò che si rincorre sullo schermo, perché il contorno survoltato, disincantato e sboccato (marchio di fabbrica del personaggio e unico aspetto originale) crea un distacco da ogni possibile svolta narrativa. In fondo, pistolotto finale a parte, a nessuno dei personaggi interessa di nessuno, di riflesso perché diavolo dovrebbero interessare a noi? Poi, il cambio di regia (da Tim Miller a David Leitch) giova alle iperboliche sequenze di azione, il cinismo di alcune battute colpisce nel segno (il destino di gran parte del team dopo il volo in paracadute dall’aereo), la metanarrazione ha esiti a volte simpatici, alcuni riferimenti (per molti, chissà perché, riuscire a coglierli è il massimo dello spasso) mostrano arguzia (l’utilizzo in chiave narrativa di Take On Me degli A-ha, per esempio), il fattore rigenerante del protagonista ha esiti buffi, i titoli di coda hanno una grazia inaspettata, ma il trend che vuole il film unicamente come veicolo di gag fini a se stesse, strizzatine d’occhio e battutacce (per lo più poco o nulla divertenti), lascia ancora una volta basiti di come sia proprio questo ciò che elettrizza il pubblico e lo spinge a uscire di casa per varcare gaudente la soglia di una sala cinematografica.