- Claudio Bondì
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TRAMA
Qualche anno dopo il sacco di Roma da parte dei Goti (410 d.C.) Claudio Rutilio Namaziano, ex praefectus urbi, si mette in movimento verso la sua terra d’origine: la Gallia. Data la devastazione che regna per le strade sarà costretto ad avanzare attraverso il mare.
RECENSIONI
Così afferma la sacerdotessa di Elias, il Sole, che definitivamente cala sull’Impero Romano. Essa, questo film è l’impudicizia: immortalando un’epoca – anzi: l’Epoca- ne sviscera le indicibili vergogne, disegnando la fine della stessa. Altro che crollo: DE REDITU (un altro ritorno, ben altra cosa dall’omonimo veneziano) gironzola per le macerie, in punta di piedi per non calpestare frammenti di frammenti di statue, della Storia e del mondo. Ispirato dall’unica opera lasciata dal filosofo Namaziano, la pellicola è un diario di viaggio all’insegna della sottrazione, che si/ci diverte a spezzettare tabù: i gladiatori sono il contrario di Russel Crowe, ragazzini gracilini che si scannano in una fossa (incontri clandestini, in quanto all’epoca erano vietati) per il rivoltante vocio degli spalti – allora: chi sono i veri barbari? Il ritorno via mare di un sovversivo, (pazza?) figura solitaria che vuole rivoltare un declino ormai compiuto ed assimilato: un pagano inascoltato dagli amici e dagli dei, costretto a divincolarsi in una costellazione senza più credenza alcuna (il vecchio Protadio che dice: “mia moglie è cristiana, forse rinascerà”). Egli intraprende un happening decadente ed antiomerico (nonostante il mare…), dove incontrerà soldati sconfitti nell’animo, poveri diavoli come rematori (un ebreo armato dalla sua fede: ma pare un invasato), donne pronte a scoparselo, le truppe pretoriane che lo inseguono. Il film tesse il tranello di una dialettica soltanto immaginaria: il dissidio crollo-salvezza non esiste mai, neanche per un istante, già essendo emessa in partenza la condanna a morte. Ciò che conta è quindi raccontare un riverbero ammattito di esistenza umana, affannata nello spacciare virtù che non possiede (Namaziano cade nella corruzione della carne, se lo rimprovera, vi cade ancora) e millantare uno scopo anch’esso dubbio (ancora rivelatore Protadio: “Quando hai perso la tua donna hai intrapreso questa impresa disperata”). Al suo quarto lungometraggio Claudio Bondì, anche regista televisivo, confeziona un italiano moderno classicheggiante e misurato, relegando a Mel Gibson il sogno di girare in latino: egli conosce l’avvolgimento naturale come unica scenografia, uccidendo per scelta e per budget ogni ricostruzione di sorta (girato prevalentemente in Calabria, ma anche nella provincia laziale). Ne esce fuori un gioco di luci e colori (raggi solari increspati sulla vela dell’imbarcazione) ordinariamente filmato con spruzzate di handycam, che si ingabbia nella prima parte in una prigione dialoghistica da piccolo schermo, sfoderando qua e là qualche stereotipo del genere (il naufragio). Queste ed altre sparute macchioline galleggiano nel film (come la prova di Elia Schilton: perplesso/addolorato, ma alla lunga un po’ uguale a sé stesso), il quale mostra la sua criniera quando entra in scena il solito, immenso Roberto Herlitzka nelle vesti di Protadio (dopo Aldo Moro, un altro cadavere politico): il guizzo d’orgoglio nella desolazione, la sofferente consapevolezza della vecchiaia (i Romani) di fronte all’avanzare del nuovo (i Barbari). Egli distingue nitidamente le macerie ma per (im)pudicizia le nasconde: sotto un telo bianco c’è semplicemente il suo corpo che si suicida (anche le ceneri vanno nell’acqua), mentre il filosofo ed il film tutto sono imbrigliati a metà viaggio, dissolvendosi bruscamente, per regalare alla tetra fantasia un’esecuzione lasciata in omissis. DE REDITU esce nelle sale (si fa per dire, neanche dieci in tutta Italia) appesantito da una distribuzione sparuta e difficile, in picchiata verso un gustosissimo flop; in pochi vedranno questo ammirevole italiano che suona la cetra mentre Roma brucia, ma Protadio spiegherebbe anche questo: “Tutto secondo logica, senza pietà”.
