TRAMA
Imbrigliata nel ruolo di moglie devota e madre modello, Lena scopre improvvisamente un mondo di emozioni, che sovvertiranno il suo immobile equilibrio, immergendola nel caos dei sentimenti, del mistero e dei desideri.
RECENSIONI
“Das Verlangen” (il desiderio) di Iain Dilthey è un film di passioni raggelate, raccontate con rigore, senza fronzoli che distraggano chi guarda dalla comprensione della loro essenza. Non è una storia universale, nel momento stesso in cui lo stile del racconto rispecchia fortemente il carattere della protagonista: i suoi silenzi sono gli stessi della pellicola. E questo allontana dall’immedesimazione, ma affascina per la sua coerenza di visione, che finisce per trasmettere, in modo molto nitido, un’atmosfera. Altrettanto scarna è la messa in scena, molto teatrale, che riprende certe tonalità della pittura tedesca del XV-XVI secolo. E se al centro della storia c’è una vicenda di passioni e di morte, in realtà questa è solo la trasposizione di una metamorfosi interiore. Metamorfosi che forse è semplicemente una scoperta della propria identità. Nella sobria interpretazione, nell’immobilità degli splendidi paesaggi e nel rigore della casa di Lena, c’è tutta la violenza compressa della sua condizione di infelicità. Ma quel silenzio che l’ha imprigionata in una vita triste e piena di sofferenza repressa diventa finalmente l’arma del suo riscatto. Molta l’influenza di Fassbinder, e se solo la narrazione fosse meno di maniera e non saltassero agli occhi delle grossolane ingenuità, che finiscono per tagliare i sentimenti con l’accetta, “Das Verlangen” sarebbe un film che, suo malgrado, colpirebbe al cuore. La totale mancanza di ironia rende poi tutto senza speranza. Strana visione per un regista poco più che trentenne, di cui “Das Verlangen” (terzo episodio della sua “Trilogia del desiderio”) è il film di diploma.
Francesca Manfroni