TRAMA
Agnese e Stefano sono molto diversi. Lei, 17 anni, vive sola con una madre dura e devota, frequenta la chiesa e sta per compiere una promessa di castità fino al matrimonio. Lui, 25 anni, è un ragazzo violento e dal passato difficile che lavora come custode in un parcheggio di macchine che confina con un grande campo rom.
RECENSIONI
Correre. Scappare. Inseguire. Desiderio di fuggire e voglia di raggiungere l’altro. Il furto del cellulare non c’entra ancora nulla, ne veniamo a conoscenza solo in un secondo momento. Per una manciata di secondi conta solo il gesto, lo sforzo fisico, il movimento e la sua direzione. La sequenza di inseguimento che apre Cuori puri sembra già mettere in evidenza le spinte che animano i suoi personaggi: da una parte c’è Agnese, la quale, a ridosso della maggiore età, si ritrova in fase di allontanamento da una madre oppressiva e accecata dalla devozione; dall’altra, Stefano, ragazzo irruento gravato da una situazione familiare complicata, amicizie difficili e instabilità lavorativa. Lei fugge (dall’adolescenza; dalla madre; dalla pressione di chi pretende di imporre agli altri il proprio modo di vedere le cose), lui insegue (la vita adulta con il suo carico di responsabilità; una parvenza di autonomia e stabilità; il desiderio di sostituirsi all’inetto e odiato padre per aiutare la madre). Hanno due caratteri molto diversi Agnese e Stefano, quasi opposti, eppure si ritrovano accomunati dalla medesima irrequietezza: corrono nella stessa direzione, ma a distanza. E nel momento in cui l’uno raggiungerà l’altra, nel momento in cui entreranno nella stessa inquadratura, lui sarà costretto ad allontanarla immediatamente. Tra loro c’è ancora uno spazio da colmare e in quel vuoto sta tutta la loro differenza: di ambiente, d’età, di contesto, di pensiero. D’altronde basta osservare il profondo scarto in relazione al rapporto con l’autorità per rendersi conto dell’enorme divario che li separa: laddove Agnese, pur avendo ancora molti dubbi (ma spinta dalla madre e sostenuta dalla comunità parrocchiale che frequenta assiduamente), è in procinto di celebrare il rito attraverso cui prometterà solennemente di arrivare casta al matrimonio, Stefano fa fatica a mantenere il proprio lavoro per più di qualche giorno; laddove lei sta per sottomettersi pienamente ad una triplice autorità superiore (terrena, intermedia e divina: la madre, il prete, Dio), lui non riesce neppure a rispettare le regole elementari imposte dal proprio datore di lavoro (come ad esempio indossare la pettorina durante le riunioni). Sono queste dunque le due anime che (si rin)corrono, e non solo all’inizio del film. E sono proprio questi corpi e queste anime che il regista sceglie di seguire.
Insomma, se c’è un gesto che insieme sembra riuscire a racchiudere stile e racconto della notevole opera prima di Roberto De Paolis è proprio quello dell’inseguimento: una fuga da un ambiente soffocante che si risolve nella ricerca di qualcosa d’altro, un’apertura al mondo e a se stessi, ma anche, facendo un passo indietro, un pedinamento costante all’inseguimento dei propri protagonisti. Inserendosi nel percorso scavato da tanto (buon) cinema italiano contemporaneo (l’esempio recente più affine è forse Fiore di Giovannesi), De Paolis osserva mettendosi al livello dei personaggi ed entrando nel loro mondo in punta di piedi. L’obiettivo è sempre quello, utopistico, ma sincero se perseguito con convinzione: restituire la realtà così com’è, con tutte le sue contraddizioni, trasfigurandola il meno possibile e cercando di stare lontano da stereotipi, preconcetti e luoghi comuni (davvero riuscita in questo senso la figura di don Luca, prete giovane e alla mano, nonostante la scelta radicale che chiede ai suoi giovani). Sia chiaro però, in Cuori puri la narrazione non è mai subordinata ad una gelida e distaccata osservazione del reale. È un film che osserva mentre racconta, mai viceversa. Merito sicuramente di una scrittura ispirata (sono ben quattro gli sceneggiatori accreditati, tra cui lo stesso regista), ma soprattutto merito dei due giovani interpreti (Selene Caramazza e Simone Liberati, entrambi al primo ruolo importante in carriera), capaci di raggiungere una naturalezza davvero invidiabile, che De Paolis è bravo a valorizzare. La sua forza è infatti quella di credere profondamente nel potere delle immagini (e non potrebbe essere altrimenti, visto il suo acclamato percorso da fotografo), delegando proprio a queste ultime, e mai alla parola, il compito di far emergere significati, sfumature ed emozioni. Ecco allora che nonostante si parli tantissimo in Cuori puri, ciò che veramente riesce a colpire sono i piccoli gesti celati talvolta in sequenze solo apparentemente di raccordo: la già citata corsa iniziale, gli sguardi di Stefano e Agnese uniti dal fumo di un piccolo incendio in lontananza, l’uso straordinario (perché mai eccessivamente sottolineato) della barriera metallica che separa il campo rom dal parcheggio in cui lavora il ragazzo, il pranzo di Stefano con i genitori fuori dalla roulotte (i soldi dati alla madre, gli sguardi, il padre che versa il vino nel bicchiere del figlio); e poi ancora la scena, lunga e potentissima, della prima volta di Agnese, il sangue (perché è il corpo a ricordarci che l’ingresso nel mondo adulto è sempre una violenza, un trauma con cui dover necessariamente fare i conti), l’inseguimento finale che dona circolarità al racconto, in cui le direzioni e i ruoli di inseguitori e inseguiti si invertono, si ribaltano, si confondono per sciogliersi in un abbraccio tanto doloroso quanto sincero. Smettere di correre insomma, smettere di scappare, smettere di inseguirsi. Fermarsi. L’uno nelle braccia dell’altro.