TRAMA
Basato su eventi realmente accaduti, Crucifixion è la storia di un prete accusato dell’omicidio di una suora su cui stava compiendo un esorcismo. Nicole apre un’inchiesta per cercare di capire se si è trattato effettivamente di un omicidio o se le accuse mascherano l’azione di una presenza demoniaca. Ma tutta la vicenda metterà a durissima prova anche la giornalista… (dal pressbook).
RECENSIONI
Non so quanti appassionati di horror abbiano visto o ricordino Oltre le colline, il film del 2012 di Cristian Mungiu vincitore dei premi per le migliori interpretazioni femminili e per la migliore sceneggiatura al 65° Festival di Cannes. Il riferimento alla pellicola rigorosamente autoriale di Mungiu potrebbe sembrare incongruo e fuori luogo in una recensione dedicata a un titolo dichiaratamente di genere come Crucifixion, ma di fatto getta una luce potentissima sul modo in cui Xavier Gens, già artefice del rimarchevole Frontière(s), ha modellato la materia rappresentata. Per quale motivo? Semplicemente perché i due film raccontano la stessa storia (la crocifissione di una suora sospettata di possessione demoniaca) da punti di vista diametralmente opposti. Se Oltre le colline raccontava per filo e per segno lo svolgimento della tragedia, seguendo la travagliata vicenda della ventiquattrenne Alina e attribuendo la responsabilità della sua morte all’oscurantismo di stampo patriarcale del microcosmo monastico (e di lì, per proprietà transitiva, alla società romena tutta), Crucifixion racconta il dopo, adottando uno sguardo esterno (quello di una combattiva giornalista statunitense intenzionata a smascherare la verità con piglio scettico e ultrarazionale) che viene progressivamente risucchiato in un vortice irrazionale. Detto altrimenti, quello di Mungiu era un film di denuncia (delle superstizioni, ipocrisie e avidità sociali), quello di Gens è un film di rinuncia (alle certezze della ragione, alla diffidenza e alle rivendicazioni laiche).
Il confronto tra i due titoli è utile anche sotto il profilo stilistico: Mungiu prediligeva un andamento oggettivo quasi cronachistico cadenzato da massicci piani-sequenza, mentre Gens privilegia un taglio investigativo palesemente soggettivo (la giovane giornalista Nicole orienta visivamente quasi tutte le inquadrature) scandito da un fraseggio ellittico e concitato. Impostato come un thriller o una detection story (la trasferta di una giornalista atea in territorio insidiosamente spirituale), Crucifixion avrebbe insomma molte frecce al suo arco: sotto questo aspetto il suo disegno risulta di gran lunga più interessante dell’assunto monolitico in fondo piuttosto prevedibile di Oltre le colline.
Inoltre la rappresentazione del maligno riesce bene a Gens, lo avevamo già notato in Frontière(s). Il guaio è che le potenzialità destabilizzanti insite nell’impostazione investigativa (ogni indagine è anche un’occasione di smarrimento e incertezza) convergono tristemente nel protocollo della tensione telecomandata (le apparizioni degli insetti) e nella vacua retorica effettistica del jumpscare (gli spauracchi, ancorché abbastanza efficaci, finiscono per esasperare). Ed è un peccato, perché tra le righe si percepisce autentico amore per il genere e una capacità cristallina di immergersi nell’ambiente, col monastero della crocifissione a imporsi graniticamente su tutte le altre location. Nota finale alquanto bizzarra: l’ambientazione romena, associata alla propagazione del male, mi ha fatto tornare in mente uno dei film più adorabilmente bislacchi che abbia visto, La fortezza (1983) di Michael Mann. Recuperatelo, se non l'avete ancora fatto.