L’autunno è caratterizzato da alcuni punti fermi: castagne e uva in tavola, i primi freddi alternati agli ultimi caldi, giornate intere di pioggia e grigiore, una malinconia diffusa, il cambio dell’ora da legale a solare, i festeggiamenti per “Halloween” (come da modello americano, sempre più must collettivo), ma, soprattutto, il Ravenna Nightmare Film Fest, una delle poche certezze in questi tempi molto parchi di proposte culturali significative.
_x000D_ Come da otto anni a questa parte, quindi, la fine di ottobre è cominciata la trasferta romagnola in quel di Ravenna, con destinazione multiplex Cinemacity. Sul luogo si è già detto nei reportage precedenti (sale tecnologicamente evolute, struttura spaventosa nel suo rimbombante proporsi come divertimentificio asettico). Sull’edizione del 2010, scendiamo invece un po’ più nel dettaglio.
_x000D_ La rassegna – curata dal Direttore artistico Franco Calandrini (St/Art), con la direzione Organizzativa di Alberto Achilliper l’Ufficio Attività Cinematografiche del Comune di Ravenna, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna e della Regione Emilia-Romagna, col sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con la sponsorizzazione di EniPower – si è aperta con Adam Resurrected, l’ultimo malinconico lavoro di Paul Schrader, storia di un sopravvissuto ad Auschwitz e del suo dolore infinito, con Jeff Goldblum e Willem Dafoe. In chiusura, invece, è arrivato uno dei film più chiacchierati in rete, l’estremo e censuratissimo A Serbian Film di Srdjan Spasojevic, allucinante rappresentazione dell’ultraviolenza e del male assoluto in una Serbia ancora vittima della guerra.
In mezzo a questi due titoli di grande richiamo il cuore del festival, costituito dalle nove pellicole selezionate per il Concorso Internazionale: dall’Australia The Loved Ones,di Sean Byrne, storia di un ragazzo (interpretato da Xavier Samuel, la teen sexy star della saga di Twilight), in crisi per la morte del padre, in balia di un’ammiratrice segreta che lo trascinerà a un sadico party privato; dall’Irlanda Savage, di Brendan Muldowney, un viaggio nei temi della mascolinità e della violenza; dall’Inghilterra, l’incursione in terra americana di Simon Rumley con Red White & Blue,shoccante racconto di degradazione e vendetta; dal Canada il trip psichedelico Beyond the Black Rainbow di Panos Cosmatos; dalla Francia Kandisha, di Jérome Cohen-Olivar, imperniato su un’antica leggenda marocchina del secolo XIV e con un cast che include anche David Carradine in una delle sue ultime interpretazioni. Battenti bandiera americana i rimanenti quattro titoli: il truculento gore Necromentia del giovane Pearry Teo, Rampage di Uwe Boll, per molti peggior regista del mondo (il che stimola già la curiosità), l’opera prima di John Michael Elfers, Finale, e il crepuscolare Godspeed di Robert Saitzyk.
A fianco del concorso sono poi aumentati, rispetto all’austerity del 2009, anche anteprime, incontri col pubblico e appuntamenti speciali:The Collector,dell’americano Marcus Dunstan, già apprezzato sceneggiatore degli ultimi capitoli della serie Saw; l’irriverente Smash Cut di Lee Demarbre, con la famosa porno attrice americana Sasha Grey; e l’opera di animazione del maestro Phil Mulloy, Goodbye Mr. Christie. Tra gli eventi c’è stato spazio anche per l’Italia con Bloodline di Edo Tagliavini, giovane filmaker di origini romagnole alle prese con una rivisitazione low-budget di tutto l’horror degli ultimi decenni.
_x000D_ A concludere il programma, il ritorno del grande classico Il Villaggio dei dannati di Wolf Rilla (50 anni ottimamente portati) e un mini-tributo a Suzi Lorraine, modella, attrice e scrittrice americana divenuta icona del cinema indie-horror. Della sua densa filmografia il festival ha proposto quattro tra i suoi film più recenti (dai titoli quanto mai esplicativi): Destined to Be Ingested di Sofian Khan, Bikini Girls on Ice di Geoff Klein, Won Ton Baby di James Morgart e Claang: The Game dell’italiano Stefano Milla. Ospite del festival, Suzi Lorraine ha rappresentato un terzo della giuria internazionale. Gli altri due giudici sono stati il regista inglese Sean Hogan e il critico cinematografico Alessio Gradogna. Insieme hanno assegnato il Premio Anello D’Oro (creato dal maestro orafo Marco Gerbella), come Miglior Film Lungometraggio in concorso, a Godspeed di Robert Saitzyk (“Una storia drammatica, forte, scritta e diretta molto bene. Il tema trattato è molto interessante, espressione di un’indagine sulla Fede nel mondo d’oggi e sull’opportunità di avere ancora una speranza ai giorni nostri”) e una Menzione Speciale a Red White & Blue di Simon Rumley (“Il film è apprezzato per una prima parte più riflessiva, ben sviluppata, solida, senza violenza; e per una recitazione molto intensa e credibile.”)
Nel complesso una sei giorni come sempre interessante, anche se meno perturbante rispetto ad annate precedenti, in cui il livello qualitativo era risultato mediamente più elevato. Ma ne abbiamo parlato con il Direttore Artistico Franco Calandrini, ponendo l’accento su altri aspetti che non hanno convinto appieno: la scelta di presentare la stragrande maggioranza dei film in formato video (con risultati a volte scadenti) e il problema della capienza limitata della sala 7: 123 posti per un festival internazionale sono davvero pochi.
_x000D_ Critiche che vogliono essere un’occasione di confronto e stimolo per rendere uno dei pochi festival di genere del panorama italiano ancora più riuscito e competitivo.