TRAMA
L’esistenza di Rafael, responsabile del settore femminile di un negozio d’abiti chic all’interno di un centro commerciale, dandy spagnolo dedito ad oltranza alle donne e alla bella vita, muta radicalmente quando conosce Lourdes, commessa di quello stesso negozio.
RECENSIONI
Crimen Ferpecto (la distribuzione italiana ha dimostrato per l’ennesima volta la sua noncurante irrispettosità nei confronti del lavoro altrui massacrando la deliziosa sottigliezza del gioco di parole celata dal titolo originale) proseguono le sagaci stilettate inferte su un corpus sociale languidamente sdraiato sulla comoda, rassicurante e progressiva superficie di un mondo globalizzato, ad opera dell’iberico Alex De La Iglesia, che della poetica del “colpo vibrante” ne ha fatto uno stile cinematografico. Torna dunque il discorso, non esente da una lunga e prestigiosa tradizione moralistica, sulla messa alla berlina di alcune delle più virulente attitudini dell’uomo (e della donna, naturalmente) contemporaneo prigioniero dei cliché appartenenti alla cultura dell’immagine: la moda, lo shopping, la sovraesposizione mediatica e tutti quei piccoli, subdoli, eterni vizi quali il tradimento, l’inclinazione al dandysmo e alla vanità, l’invidia e quel meschino senso di avidità che fanno da corollario al teorema che pone l’essere come optional dell’apparire. Non siamo troppo distanti dall’inquietante metafora romeriana di Zombi in cui un minaccioso gruppo di morti viventi prendeva d’assalto nientepopodimenoché un centro commerciale (anche se poi il delirio citazionistico di De La Iglesia con l’esilarante figura del rivale omosex révenant lo conduce più dalle parti del Dan O’Bannon di The Return of The Living Dead e le sue sgangherate pantomime zombesche) poiché anche in Crimen Ferpecto il nuovo centro nevralgico dell’essere sociale diviene il luogo dell’azione filmica nel quale si consumano amori, delitti e ripicche ovvero il cuore pulsante dell’umana esistenza in un susseguirsi irrefrenabile di situazioni rocambolesche.
Per un retaggio peculiarmente spagnolo che va da Buñuel a Almodóvar la tavolozza cromatica della commedia umana si tinge inevitabilmente di nero istituendo uno strambo quadrilatero narrativo intorno alle quattro maschere principali di quel surrealistico teatrino della cattiveria più divertita e sfrenata che si va mostrando con il Don Juan di turno perseguitato dalla bruttina stagionata Monica Cervera, lo spettro gay prima acerrimo rivale professionale e poi insospettabile alleato post-mortem e un commissario di polizia che sembra uscito direttamente da una pellicola di Jesus Franco (l’attore feticcio di De La Iglesia Enrique Villén). La divagazione scenica di Crimen Ferpecto sui temi suesposti diviene ben presto profanazione irrimediabile del tempio della vita post-moderna con una centrifuga incessante di citazioni/omaggi (Hitchcock in primis, ovviamente) e invenzioni visive all’insegna del ribaltamento del delitto perfetto baudrillardiano, in cui è di nuovo il cinema a riappropriarsi del ruolo di impietoso dissacratore della realtà, inventio visiva che ancora una volta, da Acción Mutante all’inedito 800 bolas (succosissima contaminazione tra il genere comico e western), si annuncia dirompente come specimen eminente del cinema di De La Iglesia.