Commedia

CONFESSIONI DI UNA MENTE PERICOLOSA

Titolo OriginaleConfessions of a Dangerous Mind
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2002
Genere
Durata113'
Sceneggiatura
Tratto dadall'autobiografia di Chuck Barris
Scenografia

TRAMA

La doppia vita di Chuck Barris, autore di programmi televisivi di successo e sicario al soldo della CIA.

RECENSIONI

Cinema e TV, la guerra continua. Da sempre il cinema riflette sul quinto potere, sull'opera sistematica di manipolazione ed intorpidimento delle coscienze che mette in atto strategicamente il mezzo televisivo, sulla deriva morale e l'imbarbarimento culturale provocato da anni di spazzatura "impomatata". Quando il piccolo schermo apparve negli anni '40 il cinema poté finalmente guardare dall'alto in basso un'altra "arte".
Chuck Barris, chi era costui? Il protagonista delle "Confessioni" è un anti-eroe ingenuo ma non troppo, campione dell'edonismo americano, figura prima amorale e poi rosa dai sensi di colpa. La lenta ricerca di sé del personaggio passa attraverso la rivendicazione di uno spazio mentale e fisico (la stanza nella quale si barrica) non soggetto alla tirannia del business. L'autoanalisi diventa l'unico modo per esorcizzare i fantasmi del proprio passato. Il protagonista sa di essere, come lo definivano gli analisti di quegli anni, emblema del "declino della società moderna" e sa che solo recuperando un'identità anche incerta potrà superare la crisi e sfuggire ad una doppia spirale: quella di violenza in cui è sprofondato come "braccio armato" della CIA e quella non meno vertiginosa disegnata dal tubo catodico. La messa in discussione di se stesso ("arrivi ad un momento in cui ti accorgi che il potresti essere va a sbattere contro ciò che sei stato") è la conditio sine qua non di un riscatto morale che in ogni caso rimane ambiguo (la risata finale, il volto del vero Barris e la delirante proposta di un gioco a premi mortale sono tutt'altro che rassicuranti). Autore di programmi per decerebrati, il furbo ed enigmatico Chuck fu il primo a spettacolarizzare (e sfruttare) l'idiozia umana, a dare in pasto all'onnivoro pubblico televisivo le piccolezze e le bassezze dell'uomo comune, a fare dell'assenza di talento una qualità da coltivare per avere i propri warholiani quindici minuti di gloria. Ciò che oggi è prassi quotidiana e scandalizza solo quei pochi sopravvissuti che credono che anche nella società massificata l'uomo non debba essere considerato alla stregua di una capra afasica, negli anni '60 era una lucrosa novità. Spettacoli indecenti che sono arrivati in Italia vent'anni dopo grazie al cavalier Berlusconi ("Il gioco delle coppie", "Tra moglie e marito", "La corrida") hanno forgiato le nuove generazioni, quelle post-sessantottine. Clooney sa di essere figlio anche di questa America, non si nasconde dietro i volumoni della ricca biblioteca della buona e colta borghesia. Ha il coraggio di parlare del degrado culturale e morale di una società con lo stile del cinema "engagé" degli anni '70 (Lumet, Pakula, Pollack, Penn, il Fosse di "Lenny", Rafelson, Nichols), quel cinema in cui l'ambiguità erodeva certezze di cartapesta, bruciava ogni speranza, distruggeva ogni facile manicheismo ("Non è tutto bianco e tutto nero. Il mondo è più complesso" dice Barris). Proprio la storia di un "uomo senza qualità" assassino come Barris gli permette di ridar vigore allo spirito antagonista di quella generazione di maestri non riconciliati e di inoltrarsi negli ingranaggi della macchina dello spettacolo, di quel mezzo "con un futuro", di quello specchio deformante che nel suo magmatico ed ininterrotto pullulare di luci annulla ogni rivolo di creatività facendolo confluire nel "mare magnum" indistinto del nulla.
Il neo regista, forse per mostrare al mondo di essere già Autore, non ci risparmia virtuosismi e ricercatezze fini a se stesse, cade nel kitsch adottando l'abusata tecnica della docu-fiction ed inserendo "fintevere" interviste agli amici e ai conoscenti di Barris, abbina carrello in avanti e zoom all'indietro per far vedere che conosce Hitchcock e Spielberg e abusa di sequenze ad episodi "à la Scorsese". Eppure, nonostante questi vezzi da primo della classe, il film è efficace e ben costruito, pessimista ed orgogliosamente demodé. Merito soprattutto dell'ottima sceneggiatura di Kaufman, lo stesso dei film di Spike Jonze.
Due parole sul cast. Sam Rockwell, premiato a Berlino, ha studiato lo stesso manuale di recitazione di Pacino e Hoffman; Clooney, che non sarà mai un grande attore ma possiede il prezioso dono dell'autoironia, si ritaglia il ruolo di un mefistofelico messaggero di morte, il lato oscuro e cinico di un'America tutta apparenza; Julia Roberts fa la dark lady con classe mentre Drew Barrymoore interpreta una hippy fuori dal mondo. Imperfetto ma stimolante.