Amazon Prime, Black Comedy, Thriller

COME TO DADDY

Titolo OriginaleCome to Daddy
NazioneCanada, Irlanda, Nuova Zelanda, U.S.A.
Anno Produzione2019
Durata96'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Norval accetta l’invito, ricevuto per lettera, di rincontrare il padre che lo aveva abbandonato all’età di 5 anni.

RECENSIONI


Difficile trattare Come to Daddy senza rovinarne lo svolgimento. Meglio restare il più possibile sul vago, individuando i toni ma evitando di addentrarsi nella trama e menzionare gli svariati colpi di scena che portano ad altrettanti cambi di tono.
Norval (Elijah Wood) accetta l’invito, ricevuto per lettera, di rincontrare il padre che lo aveva abbandonato all’età di 5 anni. La vicenda, che dapprima si presenta come un dramma introspettivo, vira immediatamente, una volta conclusa la sequenza iniziale, sui toni della commedia per poi cambiarsi ancora una volta e indossare abiti pulp. Si procede per accumulo, aggiungendo black comedy, thriller psicologico, grand-guignol; nell’incedere le componenti si mescolano sempre più e Ant Timpson si diverte ad amalgamare generi distanti tra loro, il cui risultato non stride ma lascia perplessi. Siamo dalle parti del Cold in July di Jim Mickle tratto dall’omonimo romanzo di Joe R. Lansdale con un occhio ancor più di riguardo per quanto riguarda gli eccessi e la truculenza. In costante rilancio sull’assurdo sia da un punto di vista dialettico, come la riuscita discussione che vede al centro Elton - Reginald! - John, sia da un punto do vista estetico, come lo spillone per documenti e il suo uso insolito, forte è il compiacimento per la ricerca esasperata del disgustoso di cui uno degli apici è una penna intinta negli escrementi per infilzare e infettare. Del resto sono le due citazioni iniziali - una da Shakespeare, una da Beyoncé - a dettare fin da subito quale sarà il passo dalla narrazione e l’umorismo basato sulla dissonanza invocato.


Elijah Wood veste bene il ruolo di innocente costretto alla violenza, sfruttando ancora una volta il suo volto pulito, fiducioso e rassicurante dato a un personaggio squilibrato come già aveva fatto nell’interpretare il serial killer in Sin City, lo schizofrenico assassino di Maniac o l’impacciato lanciatore di shuriken in I Don’t Feel Home at Home in This World Anymore con cui Come to Daddy condivide la commistione di generi già mutuata dal Jeremy Saulnier di Murder Party e Green Room (non quello più cupo di Blue Ruin e Hold the Dark).
La grande costante resta un clima malsano che nel sondare dapprima il rapporto con un genitore sconosciuto e ambiguo finisce per esplorare altre strade tutte fortemente connotate dal disagio. Resta il dubbio di un film ben congegnato ma poco incisivo il cui sviluppo da commedia nera non supporta adeguatamente gli intenti drammatici e viceversa.