Commedia

COME TE NESSUNO MAI

NazioneItalia
Anno Produzione1999
Genere
Durata88'
Sceneggiatura

TRAMA

Il mondo visto dagli occhi di un adolescente, in lotta con se stesso, con l’amore e la famiglia. Sullo sfondo una delle tante occupazioni di un liceo romano…_x000D_

RECENSIONI

La parola amore esiste, ma è difficile pronunciarla. Muccino illustra, nel suo secondo film, i turbamenti che colgono un branco di adolescenti alle prese con i primi rapporti sentimentali, più che sessuali (sebbene l’obiettivo dichiarato senza posa da tutti gli interessati sia lo sverginamento, il proprio). Tutto il resto (dibattiti politici liceali in testa) è una perdita di tempo, per i protagonisti e per il regista.
Si parla d’amore, d’amore adolescenziale, per di più: tema frusto e, apparentemente, di facile svolgimento (quale sia la causa, quale l’effetto, lo decida chi legge), gravato dallo spettro della retorica, potenzialmente vacuo. Può risultare un film giovanilistico, superficiale, profondamente codino.
Ma è esattamente il film che il regista vuol fare, e – va riconosciuto – sa come farlo, almeno parzialmente. La prima sezione di “Come te nessuno mai” è acqua fresca (gradevole e insipida), un frenetico carosello di caratteri e costumi giovanili, anzi, di idee che i “grandi” hanno di tali caratteri e costumi, colti nei loro tratti più grotteschi: culmine di questo vivace teatrino delle assurdità, più che dell’assurdo, l’assemblea scolastica, ghignante sberleffo verso le cognizioni raccogliticce e le tematiche appena orecchiate che i ragazzi (dice l’autore) spacciano per fede politica. Gustosi i quadretti di vita familiare, con cammeo (e autocitazione da “Ecco fatto”) di Enrico MTV Silvestrin. La sostanza è monocroma e vacua come nel successivo “Ultimo bacio”, ma in questo film il regista riesce quanto meno a tenere desta l’attenzione: a distrarre dalla povertà del contenuto e da uno stile di ripresa patinato all’eccesso provvedono uno script fulminante, linguisticamente incontenibile, e una direzione d’attori non strepitosa, ma corretta e con qualche guizzo (la Galiena è una perfetta madre “amica”, o presunta tale); la “recitazione” dei giovani, poi, è così stonata da fare tenerezza.
Insomma, il film avrebbe potuto essere una simpatica, imperfetta, promettente vittoria della forma sul contenuto. Entra l’Amore (o presunto tale), il meccanismo s’inceppa. Persa come d’incanto la vena canagliesca, il film si smarrisce in un’ostentata elegia del primo amore e del primo rapporto sessuale (inscindibili, ovviamente, a opportuna salvaguardia della morale). L’esigenza è quella di ribadire, concretamente (sulla pelle degli spettatori), l’intensità assoluta che gli adolescenti possiedono, o credono di possedere, in tutto quello che fanno (vedi il titolo): ecco quindi un’ora buona spesa a preparare, con interminabili perle filosofiche d’accatto, pochi secondi di amplesso, peraltro girati con inesistente senso estetico e grammaticale, fra dissolvenze al nero che (mal)celano paura della censura (per una scena di sesso fra minorenni) e scarsa conoscenza del significato percettivo di un simile espediente cinematografico.
Naturalmente, dovremmo essere molto commossi per la scoperta dell’eros da parte di giovani spiriti ansiosi. Lo saremmo, se non conoscessimo già Téchiné e altri autori in grado di unire allo splendore (non solo alla vivacità) della forma un profondo, pudico rispetto nei confronti dell’età acerba.

I "Come te nessuno mai" non hanno cambiato il mondo ma hanno aiutato a crescere. L'amore ideale e l'ideale politico escono quasi sempre sconfitti dall'evidenza dei fatti, ma persistono in eterni ritorni generazionali di ribellione ed esigenze affettive. Muccino sbaglia nel non prendere sul serio, in modo aprioristico, la voglia d'essere "contro" il Sistema degli adolescenti: guarda subito con sospetto i "figli di papà" che cantano il proletariato e la sua lotta per la giustizia sociale, esaurisce le ragioni del loro agire in ansie d'aggregazione, d'affermazione della propria identità, di superficiale ed incosciente alleanza con movimenti che non nascono spontanei. E' con la prepotenza che afferma la supremazia del sentimento d'amore, quando uno sguardo distaccato o equidistante avrebbe portato più acqua al suo mulino, seguendo semplicemente il corso dei rivoli. Dopo ECCO FATTO, ripropone il suo minimalismo avatiano liceale con un'estetica moderna, strizza ancora l'occhio alla generazione rappresentata (lo slang, i conflitti con le figure parentali, i primi amori e la prima volta, le riflessioni sugli stereotipi che disegnano i costumi e gli atteggiamenti), è sempre alla ricerca di una visione "universale" in cui padri e figli possano specchiarsi in percorsi esistenziali simili, addita con superficiale efficacia le distorsioni che scortano i sinceri trasporti dei giovani. Al supermercato dei sogni e delle aspirazioni, dove la politica è come un vestito, si svende il manuale per diventare leader e le fanatiche suddivisioni fra Destra e Sinistra si comprano in semi, sono in stock anche commoventi o genuini capitoli di un romanzo di formazione comune a tutti. Prendi 2, paghi 3: Silvio Muccino, l'esordiente fratello del regista, è una scommessa vinta, funzionano le sue confidenze con il fratello maggiore (il bravo Silvestrin) ed è certamente un bel brano di cinema il "Primo Amore" finale, intercalato da fotostatiche di gruppo di famiglia e porzioni di cielo. Più difficile battere cassa per il pretenzioso prologo che, con voci off, s'aggancia alla storia italiana recente, per lo stilema godardiano senza seguito (con tanto di cartello sulle mode e le divise), per i dialoghi forzati e le frasi fatte sul '68 e l'incomunicabilità con i genitori, per la destrezza che non abbandona mai la furbizia.